Per rilevare la COVID-19 ci vuole fiuto

Anche se la COVID-19 colpisce ogni persona in modo diverso, un sintomo è abbastanza comune a tutte: la perdita dell’olfatto o del gusto, anche se temporaneamente nella maggior parte dei casi. Dunque la perdita dell’olfatto si rivela come uno dei primi e più forti predittori dell’infezione da SARS-CoV-2.

È stato calcolato che 4 persone su 5 (quindi l’80%) infettate dal virus hanno notato cambiamenti nell’olfatto e nel gusto. Paradossalmente, proprio da questo senso potrebbe arrivare un valido alleato per determinare i casi di positività senza dover utilizzare tamponi e reagenti.

Che cos’è l’olfatto e perché è utile?

L’olfatto è considerato il senso più antico, le cui origini, secondo i ricercatori, risalgono ai batteri, i cui rudimentali sensi erano utilizzati per rilevare le sostanze chimiche presenti nell’acqua e nell’aria.

Insieme al gusto è uno dei sensi essenziali per la sopravvivenza nel mondo animale ed entra in gioco in vari processi come l’alimentazione, la rilevazione di pericoli e perfino l’accoppiamento.

All’interno della cavità nasale sono presenti dei recettori olfattivi che rilevano le particelle rilasciate nell’aria da diverse sostanze: più facilmente una sostanza emette molecole, più forte è il suo odore.

Quando una di queste molecole entra nelle narici e si attacca a un recettore olfattivo, genera un minuscolo impulso elettrico, un segnale che raggiunge un’area del cervello chiamata bulbo olfattivo. Questo percorso è anche collegato all’ippocampo e all’amigdala, le regioni del cervello legate all’emozione e alla memoria.

La memoria olfattiva

Un odore può genere ricordi, questo significa che possiamo abbinare un odore a un cibo, a un luogo, a un animale, ecc. Rispetto alla memoria visiva e uditiva, la memoria olfattiva è più difficile da studiare e gli stessi ricordi olfattivi appaiono differenti da altre forme di memoria.

In genere si danno due significati al concetto di “memoria olfattiva”:

  1. Capacità di richiamare alla mente, attraverso gli odori, ricordi di tempi ed eventi passati.
  2. Ricordo e riconoscimento degli odori in un secondo momento.

La differenza tra olfatto umano e animale

È risaputo che gli esseri umani, rispetto agli altri animali, hanno un senso olfattivo poco sviluppato, sebbene possano rilevare oltre 10.000 odori diversi. Per questo motivo si usano i cani in varie azioni, come trovare persone perdute, droghe ed esplosivi.

Per i limiti che abbiamo nelle nostre capacità olfattive siamo detti microsmatici, a differenza di specie animali, macrosmatiche, che hanno un olfatto molto più sviluppato del nostro.

Il motivo è dovuto al fatto che la maggior parte dei vertebrati ha molte più cellule nervose olfattive in un epitelio olfattivo più grande rispetto agli esseri umani e questo permette loro di avere molta più sensibilità agli odori.

Il bulbo olfattivo, poi, occupa una proporzione maggiore del cervello rispetto agli esseri umani, dando loro una maggiore capacità di elaborare e analizzare le informazioni olfattive.

L’organo che non c’è (o comunque non funziona)

Esiste inoltre un organo chiamato organo vomeronasale – o anche organo di Jacobson o organo olfattivo accessorio – situato nella porzione antero-inferiore del setto nasale. È parte del sistema olfattivo accessorio.

Questo organo è presente nella maggior parte dei vertebrati, ma nell’uomo è considerato vestigiale. È sensibile alle molecole con una struttura meno volatile, quindi permette agli animali di percepire e riconoscere più odori.

Inoltre svolge un ruolo importante nella riproduzione, permettendo a molti animali di avvertire i feromoni. È anche utilizzato dai predatori rettili e mammiferi per rintracciare le prede.

Utilizzo dei cani per rilevare i tumori

L’ipotesi che i cani, grazie al loro incredibile senso dell’olfatto, possano rilevare un tumore è nata nel 1989, quando una donna era preoccupata per un neo che il suo cane annusava in continuazione e cercava di mordere. I medici le diagnosticarono un melanoma maligno.

Casi simili hanno spinto la ricerca a eseguire studi in questo senso.

I tumori producono composti organici volatili che vengono rilasciati nelle urine, nel respiro esalato e nel sudore. Si pensa che questi composti abbiano un odore distinto, in particolare nelle prime fasi del cancro, quando le cellule si dividono.

Un primo studio sulla capacità diagnostica dei cani è stato pubblicato da ricercatori britannici nel 2004 sul «British Medical Journal». Successivamente, su campioni di urine, fra cui quelli di un paziente con cancro della vescica, i cani hanno identificato la malattia nel 41% dei casi.

Negli anni successivi sono stati eseguiti altri test con i cani, per annusare campioni di fiato di pazienti con cancro al polmone o alla mammella e campioni di urine di donne con cancro al seno e tutti hanno portato a risultati soddisfacenti.

Sebbene i cani non possano essere considerati un affidabile strumento diagnostico, tuttavia c’è materiale sufficiente per capire che il loro aiuto non può essere sottovalutato per future ricerche scientifiche.

Cani da fiuto per rilevare il COVID-19

Sono stati condotti anche studi per capire se i cani, al pari dei tumori o di altre malattie, potessero identificare il COVID-19. In un primo studio, effettuato su volontari, i cani sono riusciti a rilevare il 92% dei volontari infetti e il 91% di quelli senza infezione.

Il secondo studio è stato più importante, perché è stato eseguito sui passeggeri in arrivo all’aeroporto di Helsinki in Finlandia e in quel caso i cani hanno rilevato il 99% di quelli negativi al test PCR.

I cani da fiuto possono essere quindi addestrati per uno screening rapido e con un’elevata precisione. I ricercatori ritengono che i cani possano rilevare i composti organici volatili rilasciati durante diversi processi metabolici, comprese infezioni batteriche, virali e parassitarie, e possano quindi essere usati per rilevare altri agenti patogeni in future pandemie.

Quali sviluppi

Al momento, in Italia ancora non esiste un protocollo che utilizzi i cani da fiuto in questo contesto – come abbiamo visto le ricerche sono ancora in uno stadio sperimentale – e non è detto che in futuro potremmo vedere una divisione cinofila all’interno delle nostre Aziende sanitarie. È tuttavia interessante registrare questa possibilità, se non altro per le varie applicazioni che l’utilizzo dell’olfatto potrebbero comportare, se sviluppate di concerto con lo sviluppo della tecnologia.

I cani potrebbero essere i precursori animali di un sistema olfattivo computerizzato che possa determinare la positività alla Covid-19, o scoprire dei tumori in stato ancora molto preliminare.