Invitiamo i nostri lettori ad un giudizio ed a valutazioni personali rispetto ai risultati di questi trial e, soprattutto, a riferire se questi articoli hanno modificato le proprie abitudini prescrittive.
Lo studio ACCORD (Action to Control Cardiovascular Risk in Diabetes) era stato disegnato per stabilire se una strategia terapeutica volta a raggiungere e mantenere livelli normali di emoglobina glicata (<6,0%), in una popolazione di soggetti d’età medio-avanzata con diabete di tipo 2 noto da una mediana di 10 anni, livelli basali di HbA1c ≥7,5% e almeno un fattore di rischio cardiovascolare aggiuntivo, avrebbe ridotto il rischio di gravi eventi cardiovascolari.
Come noto, sulla base dei risultati emersi dopo 3,5 anni di follow-up, che avevano documentato una mortalità più elevata tra i pazienti del trattamento intensivo rispetto a quello standard (volto a raggiungere livelli di emoglobina glicata compresi tra 7 e 7,9%), lo studio era stato concluso anticipatamente.
Il New England Journal of Medicine pubblica ora i risultati relativi all’estensione del follow-up di altri 17 mesi per i soggetti dello studio, ormai tutti trattati in maniera “standard”, e quindi con l’obiettivo più conservativo di valori di HbA1c 7-7,9%.
Secondo quanto riportato dagli autori, prima dell’interruzione del trial non erano state riscontrate differenze significative tra il gruppo trattato in maniera intensiva e quello di controllo in termini di outcome principale (un endpoint composito di infarto miocardico non fatale, ictus non fatale o mortalità per cause cardiovascolari; p = 0,013), mentre era stata rilevata una maggiore mortalità complessiva (principalmente cardiovascolare; hazard ratio [HR] 1,21 con IC 95% da 1,02 a 1,44), seppur con una minore incidenza di infarti miocardici non fatali (HR 0,79; IC 95% da 0,66 a 0,95).
Tali tendenze si sono confermate durante l’intero follow-up di 5 anni (HR per la mortalità complessiva: 1,19 con IC 95% da 1,03 a 1,38; HR per gli infarti miocardici non fatali: 0,82 con IC 95% da 0,70 a 0,96).
Tutto ciò malgrado i livelli medi di emoglobina glicata siano aumentati, nel gruppo precedentemente trattato in maniera intensiva, dal 6,4 al 7,2%, e a parità di episodi ipoglicemici gravi rispetto al gruppo trattato fin da subito in maniera meno aggressiva.
L’estensione del follow-up a 5 anni conferma i dati preliminari della pericolosità di un trattamento antidiabetico eccessivamente intensivo, in soggetti con diabete di tipo 2 noto da anni e ad alto rischio cardiovascolare.
Resta dubbia la causa principale di tale incremento della mortalità; i dati emersi sembrano assolvere le ipoglicemie severe, ipotizzando un ruolo per alcuni farmaci o determinate loro associazioni, o interazioni (oltre all’effetto legato all’aumento del peso).
I soggetti dello studio erano stati infatti trattati in maniera diversa rispetto a quanto avviene nella pratica clinica quotidiana, associando nel 42% dei casi 3 o più classi di farmaci da soli (17%) o in associazione con insulina (25%).
Viene inoltre ribadito come gli effetti dello studio sarebbero stati verosimilmente molto differenti se l’arruolamento avesse riguardato soggetti con diabete di recente insorgenza e privi di complicanze cardiovascolari.
ANCORA DALLO STUDIO “ACCORD”:
certezze o confusioni?
“Dallo studio ACCORD Lipid una nuova speranza per i pazienti con diabete di tipo 2 e dislipidemia aterogena”, afferma una fondazione accademica internazionale
16 marzo 2010 – Atlanta, GA, USA – Il rischio cardiovascolare può essere ridotto di un ulteriore 31% nei pazienti affetti da diabete di tipo 2 con dislipidemia aterogena, la diffusa combinazione di un tasso elevato di trigliceridi (TG> 200 mg/dL o 2.3 mmol/L) e bassi livelli di colesterolo HDL (< 35 mg/dL o 0,88 mmol/L).
Questo risultato può essere raggiunto aggiungendo fenofibrato alla simvastatina.
Il numero di pazienti da trattare con questa associazione per 5 anni per prevenire un evento cardiovascolare è solo 20 (NNT).
(http://multivu.prnewswire.com/mnr/r3i/42622/”http://multivu.prnewswire.com/mnr/r3i/42622/)
Nello studio ACCORD Lipid (Action to Control Cardiovascular Risk in Diabetes), pubblicato on line nel New England Journal of Medicine, nel gruppo con dislipidemia aterogena si è osservato un aumento del 70% degli eventi cardiovascolari (morte cardiovascolare, infarto e ictus non fatale) rispetto ai pazienti che non presentavano dislipidemia aterogena.
Di fatto, il rischio associato alla dislipidemia aterogena era paragonabile a quello delle persone che avevano già in precedenza avuto patologie cardiovascolari (17,3% rispetto al 18,1%).
Il professor Jean-Charles Fruchart, presidente della Residual Risk Reduction Initiative (R3i), una fondazione accademica svizzera indipendente, ha dichiarato: ‘Negli ultimi due anni, la R3i si è concentrata sull’ipotesi che il rischio cardiovascolare residuo nei pazienti trattati con statina sia attribuibile soprattutto alla dislipidemia aterogena.
ACCORD Lipid conferma tale ipotesi e anche l’utilità di aggiungere fenofibrato alla statina per ridurre il significativo rischio cardiovascolare residuo.
Questo trattamento di associazione statina-fenofibrato è conforme alle attuali indicazioni dell’American Diabetes Association e del National Cholesterol Education Program Adult Treatment Panel III.