La psiche fra realtà e immaginazione
Nota dell’Editore
Questo spazio fuori tema è tratto dall’ebook “Nuovo Coronavirus e Resilienza – Strategie contro un nemico invisibile”, opera curata dal Prof. Luciano Peirone (che ringraziamo per la gentile concessione) a cui hanno partecipato molti altri autori ed esperti dei vari ambiti trattati.
Qui sono disponibili il primo, il secondo, il terzo numero ed il quarto capitolo delle uscite precedenti
Il Prof. Luciano Peirone è psicologo psicoterapeuta; già professore a contratto presso l’Università degli Studi D’Annunzio e l’Università degli Studi di Brescia, è membro del gruppo di lavoro dell’Ordine degli Psicologi del Piemonte “Terrorismo, radicalizzazione, violenza estremistica”e del gruppo “Psicologi per i Popoli” Piemonte.
Riveste molti incarichi editoriali per riviste di settore ed è membro di diverse associazioni scientifiche italiane ed internazionali. Maggiori informazioni sono visualizzabili sul suo sito internet
In questa uscita, riportiamo il capitolo “Il mostro che non si vede e non si tocca: la psiche tra realtà e immaginazione” redatto dal Dott. Luciano Peirone e la Dott.ssa Elena Gerardi
Introduzione
[…] erano deserte di qualsiasi forma tangibile. E così si seppe che quella era la Morte Rossa, giunta come ladrone di notte. […] E le Tenebre e il Disfacimento e la Morte Rossa tennero illimitato dominio sopra ogni cosa.
Edgar Allan Poe
La potenza del Male, la potenza dell’Immaginazione
Vogliamo finire così, l’umanità deve finire così, con l’onnipotente malefica “pestilenza” che non si tocca?
Oppure vogliamo prendere spunto da La Mascherata della Morte Rossa, prendere spunto dal genio dell’orrore letterario, traendone la stessa lugubre linfa immaginaria ma rovesciandola in positivo? Questo è il problema…
Premesse linguistiche (e necessariamente anche emozionali)
Ovviamente in queste pagine stiamo parlando non della fantasiosa (ma non più di tanto!) costruzione narrativa resa da Poe, bensì della attuale devastante azione in campo sanitario, economico e sociale causata dalla esplosione pandemica (quindi in ambito mondiale) della malattia CoViD-19.
Prima di procedere allo specifico contenuto su “agente infettivo, malattia e realtà vs immaginazione”, bisogna cercare di chiarire alcune cose, relative al titolo del presente lavoro: cose che sono a volte fatti, altre volte idee, altre volte ancora spinte pulsionali gravide di significati (meanings) ed esperienze vissute (Erlebnisse); ad ogni modo presentando (in estrema sintesi) iniziali note di ordine concettuale e definitorio, che verranno poi ampliate nel dipanarsi del presente saggio.
Cos’è un “mostro”?
Dal punto di vista strettamente etimologico mōnstrum è qualcosa che appare prodigiosamente ed è talmente fuori dal comune da spingere la psiche verso l’Assoluto, per cui viene accostato agli dei. Basti pensare alla stranezza, per gli antichi, dei gemelli o della follia.
Il mostro spicca – nel rapporto figura/sfondo – per il suo essere differente, rivelando così la propria conformazione anomala/anormale. In quanto spiccatamente diverso, il mostro costituisce una eccezione alla regola, peraltro priva di connotazioni negative, ben presenti invece nell’odierno linguaggio, il che testimonia con quanta profondità e da quanto tempo l’essere umano abbia colorato di paurose/ansiose/angoscianti emozioni questa parola.
Alla psiche di base di ogni essere umano risulta incomprensibile, inquietante e intollerabile il fatto che lo Sconosciuto non divenga Conosciuto: lui continua a celarsi e di lui si colgono solo i frustranti/terrorizzanti effetti, sotto forma di sintomi e sindromi. L’attuale nuovo coronavirus che imperversa è inconoscibile e quindi ingestibile (o poco gestibile).
La sua imago rimane vuota. Ciò fa paura e destabilizza. Niente di più facile che il “vuoto” venga riempito dal negativo, che già è presente nella psiche primordiale (quella che corrisponde al rettile pur sempre vivo nell’Homo Sapiens del Terzo millennio, nell’essere umano capace di grandiosi processi di astrazione logico-razionale).
Pertanto questo “mostro” è solo cattivo, è solo portatore di Male: e ciò, di conseguenza, inevitabilmente produce all’essere umano (oltre ai pesanti danni fisici) anche danni psichici più o meno gravi.
Ovviamente (fino a prova contraria!), il SARS-CoV-2, questo virus “mostruoso”, non è dotato di una psiche, per cui obiettivamente non è malvagio, non è malefico.
Resta però innegabile il fatto che una psiche, quella umana, talvolta lo giudica proprio come mosso da cattive intenzioni. Ovviamente, si tratta di processi proiettivi (a contenuto paranoide/ paranoico), spesso volutamente esagerati e di cui si è pure consapevoli, per cui l’essere umano si sente minacciato, aggredito e infettato proprio come se – pur essendo un organismo vivente – il virus fosse simile alla soggettività/intelligenza umana e perseguisse volontariamente il Male.
Vediamo due esempi linguistici fortemente imbevuti di carica emozionale, dai quali traspare chiaramente la componente immaginativa.
Primo esempio. “Questo bastardo maledetto ci vuole tutti morti!”.
Il rabbioso insulto “bastardo” rimanda alle sconosciute origini del nemico: il senso è proprio “Da dove arriva e di chi è figlio?”. Il tutto con impliciti ma abbastanza comprensibili giudizi che cercano di “plasmare” questo misterioso “corpo infettante”.
Secondo esempio. “Questo mostro venuto dal nulla è stato addirittura capace di sconvolgere modi, tempi e ritmi della morte: sino all’assurdo di far morire da soli senza alcun conforto; sino all’assurdo di non poter vedere mai più i propri cari, nemmeno da morti, spariti e inghiottiti nel nulla, forse lo stesso nulla da cui questo delinquente è venuto!”.
Anche qui la “capacità” attribuita al virus risulta enormemente amplificata dalle poderose emozioni indotte dalle tragiche situazioni, per cui esiste il prepotente e fallace bisogno di “nominare, illustrare e personificare”.
Sono chiaramente falsi questi due vissuti; il secondo, inoltre, è generatore di un assurdo immane dolore nei superstiti. Però sono significativi della tendenza umana ad “animare”, a “soggettivizzare” la Natura… ad attribuire ad essa una qualche volontà e una qualche forma: il mostro “deve” (sic!) avere un nome, una rappresentazione visiva, così come l’astratto Male trova un senso nelle tante concrete figurazioni del Diavolo…
Cos’è la realtà?
E chi lo sa? La domanda è solo apparentemente grossolana e la risposta non deve sorprendere. La risposta è difficile, ma non impossibile. Questo è un problema di grande complessità filosofica e metodologica (ad es. la questione della “circolarità fra soggetto e oggetto”). Però, intenzionalmente, in queste pagine il problema viene ridotto alla semplice e quotidiana psicologica sicurezza di “sapere qualcosa”: “Si vede e si tocca”, “Cade sotto i nostri cinque sensi”, “Sono certo che…”, e tanto basta. Una mescolanza di oggettivo e soggettivo che accontenta la psiche comune.
Cos’è l’immaginazione?
La risposta è possibile, e neppure tanto difficile (almeno come minimale definizione teorica, ma non sempre come attuazione pratica). Continuando a fornire definizioni stringenti, quasi essenziali, l’immaginazione è sostanzialmente il processo mediante il quale si forma l’immagine (della realtà?).
Semplificando in modo grossolano ma significativo: “Si vede e si tocca quel che c’è”; “Si immagina quel che non si vede e non si tocca” (o che non c’è o che si crede non ci sia…). Un bel gioco di specchi…, di idee esplicite o implicite, consce o inconsce…
Proprio parlando di immaginazione (e relativa capacità nell’immaginare), va detto, per un doveroso chiarimento al lettore, che l’abbondante uso delle iniziali maiuscole nel presente testo fa parte integrante di cosa si intende per “immaginazione”: essa è per l’appunto il focus dove si incontrano varie prospettive sul “come” funziona la psiche: percezione e interpretazione, sensazione ed emozione, esperienza ed elaborazione, fantasia e conoscenza, vissuto e raffigurazione.
Cos’è la psiche?
È la parte immateriale dell’organismo, la parte funzionale che si affianca alla parte strutturale. È il software che fa vivere l’hardware costituito dal soma/corpo.
Va evidenziata l’importante distinzione, proprio ai fini del discorso sulla immaginazione, fra la componente cosiddetta “fredda” della psiche (cioè la mente) e la componente cosiddetta “calda” della psiche (cioè l’anima, meglio ancora l’Anima, proprio per esaltarne l’aspetto suggestivo-evocativo nonché simbolico).
Cos’è la psicologia immaginativa?
Ovviamente è la disciplina che si occupa di quanto sopra brevemente illustrato, vale a dire le varie sfaccettature (sia di superficie sia di profondità) dell’oggetto di ricerca “immagine-immaginazione” nonché l’intreccio fra le componenti percettive, cognitive, intellettive, emozionali ed esperienziali di ciò che conduce a “figura-figurazione”.
Psicovirologia, psicomicrobiologia, psicoinfettivologia…
Nuovissime e un po’ curiose diciture, resesi necessarie – accanto alla già da tempo presente psiconeuroendocrinoimmunologia – dall’attuale prepotente irrompere di un virus targato con la sigla “SARS-CoV-2” (già di per sé inquietante, almeno all’occhio/orecchio del profano).
Presente? Assente? Sicuramente inquietante e destabilizzante!
“È interno a me?”. “È nel corpo dell’altro, nei suoi droplets?”. “È depositato sugli oggetti?”. “È sospeso nell’aria?”. “Dove si annida, dove si nasconde?”. “È pronto a colpire?”. “Sono contagiato?”. “Sono contagioso?”. “Sono sintomatico?”. “Sono asintomatico?”. “Sono paucisintomatico?”. “Sono presintomatico?”. “Sarò negativo oppure positivo al test [quale esso sia]?”. “Adesso sono convalescente, ma sono anche portatore del virus e quindi contagioso?”. “Ci saranno contagi di ritorno?”. “Per quanto tempo dovremo convivere con il virus?”. “Sono sano o sono malato?”. “Potrò guarire?”. “Diventerò immune?”. “Si troverà un vaccino?”. “Cosa devo fare?”. “Cosa posso fare?”.
Dieci, cento domande si affollano alla mente. Sia consce, sia implicite, sia inconsce. Disegnando scenari che ognuno di noi fa fatica a seguire. Dieci, cento domande e quindi dieci, cento immagini. Ne emerge un quadro, per l’appunto una immagine, di un essere umano confuso, sconcertato, incerto, sfiduciato, scoraggiato, sofferente o quanto meno a disagio. Con una sovraesposizione alle informazioni e una insufficiente capacità di comprensione delle stesse.
Il virus (qualunque virus, ma soprattutto l’agente infettivo denominato SARS-CoV-2) è, dal punto di vista della percezione umana, al tempo stesso materiale e immateriale. Materiale in quanto esso esiste oggettivamente (in sé), “immateriale” in quanto soggettivamente sfugge ai tradizionali cinque organi di senso dell’essere umano, e quindi, nella quotidianità, di fatto esso non costituisce una realtà percepibile. Non è un “Altro-da-Sé”. È un “non c’è / non esiste”, che peraltro nemmeno si pone come tale. La sua quotidiana invisibilità e intangibilità ne fanno un qualcosa che neppure è pensabile/concepibile/immaginabile: manca addirittura l’espressione cognitivo-verbale “non c’è / non esiste”.
La sua è una doppia assenza, pur in presenza della sua concreta presenza (questo non è un banale calembour tanto per divertirsi, è un serio problema di logica!).
Mancano l’Oggetto e il suo Nome, mancano la Cosa e il suo Nome, nonché il bisogno di Ricerca e Scoperta, e ancor più la possibilità dell’Intervento. Mancano la sensazione, la percezione, l’interpretazione, il concetto, la definizione, la descrizione, la spiegazione, la previsione, la prevenzione, la cura. Manca tutto.
Una terribile “assurdità”
Il virus è pertanto paradossale nella sua presenza/assenza, e nemmeno questa paradossalità viene immediatamente “alla luce”: lo si può conoscere solo in seconda battuta: attraverso i suoi visibili e tangibili effetti clinici (i sintomi della sindrome chiamata CoViD-19), attraverso i rilievi diagnostico-strumentali. Solamente “dopo”, con drammatico o tragico ritardo, il pensiero e ancor più l’immaginazione vengono costretti a subentrare (“Cosa accade? Cos’è questa cosa? Che forma ha?”), per poi finalmente stimolare la percezione (che non è mai immediata, ma sempre mediata: il che, ammettiamolo, dà fastidio e produce incertezza nel comune essere umano, il quale vede lesa la propria maestà nel Sapere… e nel Potere).
Ma l’essere umano non sa e non può nemmeno in casa propria! Sigmund Freud docet: l’inconscio è lì a testimoniare quanto poco padrone di sé sia il “proprietario” della psiche! E così il virus assomiglia terribilmente all’inconscio: entrambi stanno proprio “dentro” all’organismo!
Nella psiche ordinaria, povera di fantasia produttiva, il pensiero e l’immagine in merito al virus sono assurdi, cioè impossibili da tollerare e da mettere a fuoco (da cui negazione psichica). Ma ciò è falso, perché il virus esiste, anche se non lo si può o non lo si vuole ammettere. Ricordiamoci il significato della parola “assurdità”: dissonanza, rispetto alla ragione e alla logica. Da un lato il virus è assurdo perché sta fuori dalla ragione quotidiana e dalla logica quotidiana. Ma dall’altro lato il virus non è “assurdo” nel senso di impensabile e inimmaginabile: esso è ben reale, e quindi alla portata di una psiche attenta e preparata.
In effetti, a ben vedere, il SARS-CoV-2 è un “reale fantasma”: reale perché esterno alla persona umana; fantasia perché interna alla persona umana; nonché reale oggetto fantasmatico inconscio perché viene oscuramente vissuto-esperito dalla psiche umana.
Quanti errori… anche psicologici
Questo virus (e non è l’unico ad averlo fatto!) ci ha colti impreparati. Emergono ora prepotenti i molteplici difetti di metodo, di intervento, di ricerca, di organizzazione, difetti sfociati tutti in campo sanitario (e anche economico, e anche sociale: doppia/tripla gigantesca crisi!). Con tutta la Scienza e la Tecnica oggi a disposizione (a differenza dei poverissimi mezzi disponibili durante le epidemie di un millenario passato: la storiografia nosografica già sapeva, ma la si è ignorata!), si è riusciti a sbagliare su vari versanti, soprattutto quello decisionale.Tuttavia, al di là delle mancanze riscontrabili in svariate discipline tecnico-scientifiche e nella gestione politico-organizzativa, osservando e commentando adesso dal versante psicologico non si può non sottolineare l’enorme superficialità e lo scarsissimo uso di qualità squisitamente soggettive: da cui l’errore previsionale, l’errore preventivo, l’errore nel non aver saputo (o voluto?) vedere in anticipo il muro contro il quale prima o poi si sarebbe potuto andare a sbattere.Dolce illusione prima, amara disillusione poi…Un grosso difetto nei confronti della “Realtà”.Senza voler offendere nessuno si può dire “Troppo ricchi e troppo stupidi”? La domanda è fortemente legittima, anche perché la stupidità è un fatto psichico… è qualcosa che fa parte del Soggetto Umano (e non del misterioso Oggetto Alieno)…
Errore conoscitivo, errore culturale, errore visivo, errore immaginativo, errore visualizzativo, errore previsionale-preventivo. Da cui l’inevitabile “piena emergenza”…
Purtroppo – per varie ragioni, anche molto concrete – in questa terribile circostanza, per cui adesso siamo immersi/sommersi in una pesante emergenza (chissà quanto a lungo prolungata e quindi cronicità), l’Homo Logicus, l’Homo Psychologicus e l’Homo Imaginalis hanno mostrato di essere assai limitati nella attuale quotidianità…
Un bel rebus, un bel problema
Il virus, soprattutto quello in questione, costituisce – al di là degli aspetti microbiologici, virologici, infettivologici, immunologici, epidemiologici e clinici – un rebus psicologico di notevole portata: no percezione, no immaginazione. Ed è proprio su questa seconda caratteristica psicologica che va posta l’attenzione. Se la percezione umana non funziona (al di là delle sue potenti protesi strumentali: microscopio, tampone, analisi sierologica, RT-PCR, TC, fMR, PET etc.), non resterebbe che avvalersi – soprattutto in prospettiva previsionale e preventiva – della immaginazione, che però, in prima battuta è fallace, in quanto solitamente molto poco attivata.
“Perché mai dovrei mettermi a pensare e soprattutto immaginare, nonché faticare, se non ne avverto il bisogno?”. Questo ragionamento, peraltro esso stesso “immateriale” in quanto implicito ed inconscio, non fa una piega dal punto di vista logico (e anche esistenziale): però dà la misura della limitatezza della mente umana (e del cervello? talvolta anche l’hardware conta).
Ignoranza, supponenza, mancata ricerca della realtà (ecco l’enorme problema della sottovalutazione della ricerca scientifica!), mancata innovazione, mancata messa in discussione di ciò che è (l’oggetto) e di ciò che si è (il soggetto). In altre parole, un enorme “buco nero” nella capacità immaginativa dell’essere umano. Una enorme falla nella Psiche.
Nature vs Culture: una inutile e pericolosa contrapposizione
In fondo, si può dire che oggi, con l’avvento del virus pandemico, si sia ripresentata la tradizionale dicotomia “Natura o Cultura?”. Ovvero, quanto conta l’una e quanto conta l’altra nella vita quotidiana?
La Natura si sta prendendo la rivincita sulla Cultura? Il rozzo e naturale virus sta mettendo al tappeto l’acculturato Homo Sapiens? Sicuramente si ha una superficiale, implicita ed inconscia sottovalutazione dei fatti naturali, come pure una superficiale, implicita ed inconscia sopravvalutazione del Fattore Umano nel determinare le sorti del Pianeta Terra, come se l’Essere Umano fosse l’unico “soggetto attivo”, come se l’Elemento Naturale non fosse un fattore/attore ma fosse un infinitamente plasmabile “oggetto”, da usare e sfruttare nelle sue infinite risorse.
Dal punto di vista psicologico si può giustamente parlare di insufficiente capacità immaginativa, determinata sì da interessi extra-psicologici ma, di fatto, anche da una “pigrizia” mentale nel riuscire ad immaginare qualcosa di diverso da ciò che esiste (o si creda che esista: illusione percettiva).
Infatti, per reazione, già da un bel po’ di tempo si parla e si immagina e si agisce in termini di ecologia, di sviluppo sostenibile, di rispetto per l’ambiente naturale, di lotta all’inquinamento, di green economy, di produzione circolare etc.
Se l’essere umano non provvede a ricercare e a tentare di conoscere in maniera attiva e diretta, se non ci arriva la Cultura (pensiero + immaginazione: soprattutto intuizione visualizzativa), allora ci pensa la Natura, a volte “forzando” (il cattivo virus che brutalmente ti sveglia dal comodo sonno dell’ignoranza), altre volte donando una indulgente “Fortuna” (ovvero il caso favorevole): il presunto lampadario di Galileo, la mela di Newton, la muffa di Fleming e – ritornando all’umano dotato di un qualche software psicoculturale – in buona sostanza la serendipity (cioè il trovare senza cercare, oppure il cercare una cosa e trovarne un’altra, magari più importante o più efficace).
Ma sarebbe decisamente meglio essere più presenti, più protagonisti, “prendere il boccino in mano”, essere più attivi, più immaginativi, più “soggetti” che “oggetti”, insomma essere capaci di “active imagination”.
Hawking, Contagion, Spillover, Obama, Gates: cinque esempi che testimoniano la necessità di avere (e temere) una “vision”
Avendo oggi il Mondo a che fare con un virus pressoché sconosciuto e pressoché ingestibile, è interessante e utile rifarsi ad alcune situazioni “prefigurate”, delle quali tenere debito conto, soprattutto in termini di rischiosità, di “rappresentazione” di un pericolo. In particolare elenchiamo qui di seguito alcuni esempi (si noti bene: fra i tanti realizzati!) di quella “vision virologica” che tanto affascina l’immaginario collettivo.
Primo esempio: l’ipotesi espressa da Stephen Hawking sulla possibile fine della specie umana, asserzione fatta nel 2001 durante l’intervista di Roger Highfield per The Telegraph. “Le colonie nello spazio possono essere solo una speranza” dice Hawking. E aggiunge che esiste la possibilità di avere un virus capace di generare una pandemia: “Sono più preoccupato per la biologia… il pericolo è che, per caso, creiamo un virus che ci distrugga”, intendendo la facilità che un virus sfugga al controllo di un laboratorio.
Secondo esempio: il film Contagion diretto da Steven Soderbergh. Uscito nel 2011, risulta straordinariamente verosimile con l’attualità di CoViD-19, anche perché si avvale della consulenza (profetica?) del virologo Ian Lipkin della Columbia University.
Terzo esempio: il libro di David Quammen Spillover pubblicato nel 2012. Oltre al testo, decisamente verosimile perché parla di virus già presenti che possono fare un salto di specie (dagli animali agli esseri umani), va notato che il sottotitolo originale dice esattamente “la prossima pandemia umana”, andando a sottolineare proprio un approccio divulgativo-letterario del tipo “visione/profezia”, magari imprecisa, ma pur sempre visione/profezia con solide basi scientifico-divulgative e di reportage in giro per il mondo.
Quarto esempio: la previsione di potenzialità e probabilità virale espressa da Barack Hussein Obama, nell’ambito di un intervento al NIH (National Institutes of Health) nel dicembre 2014.
Quinto esempio: la previsione virale di Bill Gates, nel corso di un TED Talk del 2015. Il tema, poi ripreso e ampliato il 27 aprile 2018 alla Massachusetts Medical Society di Boston, ipotizza, per le successive decadi, dieci milioni di morti a causa di un virus fortemente contagioso: in un mondo non preparato alle nuove pandemie, esiste più rischio in un agente patogeno microbiologico che nei missili a testata nucleare…
Teniamo bene a mente le date e gli eventi. Abbiamo cinque visions formulate prima dell’arrivo della attuale pandemia: 2001 (l’immaginazione di Hawking); 2011 (il film Contagion); 2012 (il libro Spillover); 2014 (l’immaginazione di Obama); 2015 (l’immaginazione di Gates). Alle fine del 2019 queste cinque “possibilità” diventano una “realtà”: quella di SARS-CoV-2 e CoViD-19. Inquietante, a dir poco…
Vediamo ora in particolare e in sintesi i punti salienti del discorso di Obama.
Prendendo spunto dal virus H1N1 (influenza cosiddetta “suina”) e dal virus Ebola, Obama afferma che “esiste la necessità di prevenire futuri focolai prima che diventino epidemie”. “Potrebbe arrivare e verosimilmente arriverà un momento in cui si diffonderà una malattia che si trasmetterà per via aerea e che sia mortale. Per consentirci di affrontarla in modo efficace, dobbiamo creare un’infrastruttura globale…”.
Molto chiaramente viene detto che occorre prepararsi (per l’appunto prepararsi, cioè pararsi/proteggersi in anticipo) costruendo una infrastruttura globale (cioè non solo locale negli USA bensì mondiale), una infrastruttura di sanità pubblica di tipo internazionale che permetta di vedere e isolare la malattia e risponderle (tre fasi! tutte da attuarsi rapidamente). Su queste quattro parole in corsivo Obama è chiarissimo.
Inoltre, citando il nuovo possibile ceppo di influenza, pericolosa come l’Influenza Spagnola, Obama precisa che si ha la necessità di prepararsi ad un evento nell’arco di cinque/dieci anni. Occorre realizzare un investimento intelligente, che non è solo una “assicurazione”, perché nel tempo si continuerà ad avere problemi come questo, particolarmente in un mondo globalizzato dove ci si può spostare da un capo all’altro in poche ore, con i virus che viaggiano insieme con noi, organismi umani che ne siamo sia contenitori sia vettori…
Epidemia, pandemia, messa in crisi del senso di sicurezza… tutto in relazione alla “Vis Imaginalis”
Nel tardo autunno 2019 dalla “lontana” Cina (si noti la curiosa espressione, ma nell’immaginario collettivo di tanta gente è ancora così, come se non fossimo nel XXI secolo!) comincia a diffondersi nel Mondo un “Alieno Virale”. Dapprima focolaio, poi endemia, poi epidemia, e più avanti pandemia.
All’inizio, stupisce l’Occidente soprattutto un fatto, interpretato con miopia quasi solo politicamente e non anche dal punto di vista sanitario: la punizione nei confronti del vituperato Li Wenliang, medico di 34 anni operante in uno degli ospedali di Wuhan (epicentro della crisi sanitaria), in seguito riabilitato e celebrato come “eroe” per aver precocemente segnalato anomalie polmonari gravi di natura e cause ignote. Ma questa vicenda è “passata” nei mass media occidentali in modo assai riduttivo, quale semplice informazione quasi come tutte le altre… e non quale avvertimento di rischio! Insomma, è avvenuta una marcata sottovalutazione immaginativa.
È proprio quest’ultima a stupire l’osservatore attento, capace invece di “immaginare l’inimmaginabile”.
Dopo le prime titubanze delle autorità cinesi, il resto del Mondo assiste a scene vissute come “inimmaginabili”: persone tirate fuori a forza dall’interno delle loro abitazioni, isolamento fisico, città vuota e spettrale, tutto fermo, tutto immobile nella sfera pubblica, il “blocco”, la quarantena, il lockdown, le strane inquietanti bardature del personale sanitario, un ospedale costruito ad hoc in una settimana e così via.
Tutti segnali e messaggi talmente inconsueti che avrebbero dovuto stimolare l’attenzione, invece vengono ampiamente sottovalutati. Si hanno immagini solo “televisive” e giornalistiche, ma menti vuote: l’immaginazione anestetizzata.
Poiché tutti (e in tutto il Mondo) avevano sotto gli occhi la realtà, ci si sarebbe dovuta attendere una elementare attività psicologica. E invece no. Tutti “distratti”. Il trend è stato: scarsa attenzione, scarsa concentrazione, scarsa azione.
Il fatto è che la realtà oggettiva, per essere colta, ha bisogno di un soggetto attivo. La sana paura dell’uomo primitivo avrebbe saputo cogliere al volo il minaccioso segnale. Si sarebbero dovute attivare – da parte di tutti: gente comune ma anche esperti – tre fasi, obiettivamente veloci e in automatico:
- immaginazione
- visualizzazione,
- visione.
Invece è accaduto l’esatto contrario: non immaginare, non visualizzare, non vedere. La corretta sequenza sarebbe stata chiara, semplice, lineare, ma è partita con ritardo.
Non può non colpire la rara attenzione (soprattutto nel grosso pubblico) al focus del problema: “Cosa diavolo è questo strano e imperscrutabile mostro che non si lascia né vedere né toccare?”. Non sarebbe stato difficile. Ma è proprio questo il punto: ben al di là dell’ignoranza di base, ha imperato una scarsissima Vis Imaginalis.
Ma il resto del Mondo sbaglia a ritenere quelle scene “lontane” (?!… sono poche ore di volo aereo) e non degne di attenzione immaginativa. Non degne di svegliare le “coscienze” (sia la consapevolezza, sia l’etica).
Nell’era della globalizzazione spazio e tempo non sono più quelli tradizionali. Ma ben pochi se ne accorgono, prevalendo una psiche spenta, una immaginazione azzerata. E da qui la catastrofe.
Finalmente e con evidente ritardo, dopo lo shock e il trauma collettivi, dopo l’incertezza e il disorientamento, sia pur lentamente e dopo tanti morti e tanta fatica nel curare, dopo tanta paura e tanta insicurezza, in quasi tutto il Pianeta riprende vigore l’attenzione (almeno un po’…). Per mettere in moto la psiche umana ci voleva tutto questo?
Troppi sono i fattori distraenti nella Civiltà Occidentale Avanzata. E troppo limitato è l’utilizzo delle facoltà psichiche.
Rinasce ora, con gran fatica, almeno un po’, quella “Vis Imaginalis” di cui tutti avrebbero un gran bisogno per anticipare le Malattie, per tutelare la Salute, per garantire una giusta qualità della Vita.
Immaginare e visualizzare per cogliere, finalmente, la realtà
Dopo un po’ di tempo, con la tragedia dilagante senza confini (infatti il virus non sa cosa sono e li scavalca facilmente…), sfrugugliando nel recente passato dell’Occidente ecco saltar fuori alcuni “documenti”. Valutando con anche solo un po’ di attenzione, si rileva che sono cinque esempi di psicologia immaginativa (fra l’altro esempi forniti tutti da non-psicologi!).
Al di là delle considerazioni extrascientifiche (a sfondo economico e geo-politico) e al di là di sin troppo facili polemiche, al di là della stessa etica, ciò che, per ora, nelle pagine del nostro saggio interessa è il molteplice messaggio che ruota attorno allo stesso nucleo, come pure e soprattutto l’importanza di possedere/riportare una “vision” (che non è solo una espressione tipica dell’ambiente della pubblicità e del marketing).
Che cos’è, in ultima analisi, una “vision/visione”? È sicuramente un elemento mentale-cognitivo con rilevante componente emotiva mediante il quale si “raffigura” qualcosa, si “configura” qualcosa, si danno a qualcosa contorni, disegni e colori: per l’appunto si ha una immagine, e con essa una rappresentazione (anche anticipatoria) dove il freddo pensiero tende a fondersi con la calda emozione, dove la ragione tende ad incontrare la passione.
Fornendo una distinzione importante per la psicologia immaginativa, si possono qui definire due concetti.
La visione è sostanzialmente il contenuto, il quadro-immagine complessivo di un fenomeno o situazione: cioè il prodotto della visualizzazione. La visualizzazione è sostanzialmente l’azione, il formare l’immagine mentale: cioè la produzione della visione.
La Visualizzazione, a sua volta, è un “fattore/processo di produzione” di una immagine nella versione “Imago” (quindi scaturente dall’inconscio), qualcosa che è più forte della semplice percezione/interpretazione, con una carica psichica non banale, con una energia simbolico-evocativa, per cui si parla di Forza e di Potere: Vis Imaginalis.
Allo scopo di “avvicinarsi” con forza e potere alla realtà (quella esistente o quella possibile), occorre non solo “percepire o interpretare secondo il modello quotidiano”, occorre soprattutto Visualizzare, meglio se in stato di rilassamento, con immersione in stati e strati psichici differenti da quelli quotidiani, questi ultimi solitamente basati sulla “massima e vigile attenzione”. Si tratta di intuire e progettare, sia pure in fase iniziale a mo’ di brainstorming oppure di calma interiore profonda, con immagini che possono dapprima essere rutilanti e confuse ma poi produttive, oppure con immagini già chiare in quanto “ferme/calme” e quindi già in grado di essere operative.
Previsione? Profezia?
Alla luce di queste precisazioni di metodo, analizziamo in particolare la straordinaria dichiarazione di Obama. Profezia formulata “alla cieca”? Non lo sappiamo. Previsione a partire da reali dati su laboratori e investimenti economici? Può essere. Nel nostro contesto – incentrato sulla ricerca scientifica in psicologia – non importa se la formulazione sia artefatta, se sia già costruita. Non facciamo dietrologia, atteniamoci al testo. In questa sede limitiamoci alla semantica e alla psicologiadel testo.Da un lato importa che il contenuto sia qualcosa che è stato detto cinque anni prima (dicembre 2014) e che ora (a partire dal dicembre 2019) sia straordinariamente vero. Dall’altro lato, e qui siamo nel cuore psico-immaginativo, importa che il contenuto sia un vero e proprio “quadro”, un quadro sicuramente descrittivo, forse anche predittivo.In ogni caso, si tratta di una premonizione (un preavvertimento), oltretutto del tipo “conoscenza precisa”, il che rimanda a una prospettiva sia di fatti sia di intuizioni. Ciò che colpisce è l’aspetto psicologico, è l’impianto immaginativo, per il quale lo scenario viene “disegnato” con dovizia di dettagli, il che necessariamente implica – al di là della consapevole/inconsapevole volontà dello speaker – la presenza di una “imago” di cui la psiche è comunque capace.Perché lo statement di Obama colpisce così tanto? Per due ragioni.
Perché è ricco di contenuti e (forse?) stranamente collegabile a possibili finanziamenti economici (USA?) in qualche modo riconducibili al luogo di origine (e artificiale produzione?) della Pandemia (il “misterioso” laboratorio di Wuhan e la stessa città di Wuhan). Da ciò si possono immaginare tanti possibili indizi, quasi prove, teorie complottiste etc.: un guazzabuglio “politico-economico”.
Ma a noi scriventi, per ora e nel nostro contesto di studio, ciò non interessa; in quanto psicologi ci focalizziamo invece sul secondo motivo: analizzare la componente comunicativa, in particolare nel suo taglio cognitivo-evocativo, anche perché il tutto risulta (proprio in quanto si ha un ex post confermante un ex ante!) inequivocabilmente inquietante e destabilizzante per l’equilibrio psichico di chi riceve il messaggio.
L’asserzione colpisce anche perché possiede caratteristiche psicologicamente impattanti in fatto di produzione immaginaria e immaginifica, con una marcata struttura narrativo-profetica, oltretutto raccontata dal “Presidente” per eccellenza, dall’Uomo più Potente della Terra. Ma non importa se vera o falsa, essa è emozionalmente credibile, anche perché tocca le corde più profonde della sensibilità umana, quelle della “sicurezza vitale”. È una questione di pragmatica immaginativa: pur nella abbastanza fredda veste istituzionale in cui si è svolto, questo “discorso” costituisce un vero e proprio “racconto horror”, con tanto di “Imago Mortis” in primissimo piano sulla scena.
Inoltre, il tema della “immaginazione profetica” regge ampiamente, almeno nelle menti e nelle culture delle persone più semplici. Se la vision/imago di Hawking è generica, la vision/imago delle altre quattro “situazioni” è notevolmente specifica, soprattutto quella di Obama (anche perché formulata da un politico e non da scienziati, romanzieri, registi). La prima è accennata (intuizione di sintesi), le altre sono articolate e dettagliate (intuizione + costruzione + analisi). E oggi (dopo un tempo di latenza, tipico di ogni visione profetica) tutte – forse per caso, ma non importa: nell’inconscio “tutto è relazionato con tutto” – si sono dimostrate vere (!): è arrivato il ben identificato virus SARS-CoV-2 con relativa malattia CoViD-19 che potrebbero distruggere l’intera umanità.
In ogni caso tutte le “teorie” sono espresse mediante processi linguistici che svelano i sottostanti processi psichici della “fantasia”, della “immaginazione” e della “visualizzazione”.
Quale uso fare della immaginazione? In generale e in una situazione pandemica?
Da quanto descritto e analizzato nelle pagine precedenti emerge che si sono accumulati almeno tre importanti errori (di tipo immaginativo, cognitivo e logico):
- mancata elaborazione delle cinque importanti visions;
- lenta percezione-comprensione dei fatti esplosi a Wuhan e nella regione dell’Hubei;
- mancato/tardivo collegamento fra le precedenti visions e l’attuale problema (oltre tutto riduttivamente considerato quale “epidemia cinese” ma in effetti pandemia mondiale).
Va inoltre sottolineato il fatto che le cinque visions (da noi scelte fra le numerose altre esistenti nella struttura cognitiva e culturale dell’essere umano post-moderno) sono “pubbliche”, per un bel po’ di tempo poste sotto gli occhi di tutti in una civiltà dove informazioni e immagini sembrerebbero dominanti… Parafrasando Gabriel García Márquez, sarebbe proprio il caso di dire “cronaca di una pandemia annunciata… ma ignorata”. Si sarebbe potuto e dovuto agire per tempo. E invece… le visioni e le situazioni reali sono state vissute con distacco, come intrattenimento-spettacolo, secondo la debole prassi psicologica per cui le informazioni vengono esperite in modo “vicario/passivo/sterile/inutile” e non in modo “esemplare/attivo/fecondo/utile”: ci si limita a “guardare” (senza vedere!) e non si passa al “fare”.
Quanto in precedenza descritto e commentato appartiene all’ottica della negatività, in una luce pessimistica e catastrofale, che però non è l’unica versione del potere umano nell’immaginare le cose della vita… E allora abbiamo qualche speranza… Con la psicologia della salute (Matarazzo, 1980; Bertini, 2012), con la psicologia positiva (Seligman e Csiks- zentmihalyi, 2000; Delle Fave, 2007; Seligman, 2011), e ancor più nel particolare con la versione rassicurante e incoraggiante della imagerie mentale o mental imagery.
Le visions letterario-cinematografiche della Morte Rossa, di Frankenstein, del Dr. Stranamore, degli Zombie et similia sono verosimili, qualche volta vere. Esprimono le paure, le angosce, il terrore di qualcosa che “sfugge di mano”… Ma, a ben vedere, a ben ragionare, questa è la psiche di tutti, la psiche del comune essere umano, gravida di inquietudine e insicurezza “immaginate”, la quale psiche richiede, esige altrettanta “potenza immaginativa” per fronteggiare, tamponare, prevenire, azzerare il Male.
L’immaginazione buona contro l’immaginazione cattiva… L’Imago Mortis contrastata dall’Imago Vitae.
“Focalizzare” il virus e curare / prendersi cura “
“Nulla si sa, tutto s’immagina.”
Federico Fellini
Al fine di vedere bene (e per tempo) occorre saper visualizzare. Occorre affinare le doti immaginative della psiche anche per curare (cioè fare terapia) e per prendersi cura (cioè agire in modo responsabile ed efficace).
Sempre e comunque, ma a maggior ragione in caso di virulenza pandemica, sarebbe il caso di disporre di strumenti immaginativi atti a contrastare (beninteso, nei limiti del possibile) la devastante realtà. Gli strumenti già esistono, perché fanno parte della psychological tool box, però bisogna calarli nella quotidianità: il problema è enorme dal punto di vista organizzativo, ma è scientificamente e tecnicamente fondato.
Cosa sappiamo oggi del virus SARS-CoV-2? Quasi nulla. Cosa sappiamo oggi delle terapie utili per curare la persona affetta da CoViD-19? Molto poco.
E allora? Quando la conoscenza fa difetto, occorre una buona (e misurata) dose di produttiva fantasia, di geniale e creativa immaginazione, un pizzico di felliniana follia… Sempre, beninteso, con la consapevolezza che questa è solo la scintilla iniziale, la quale richiede, in seguito, un lungo e duro lavoro per concretizzare le soluzioni. Ma senza questa scintilla, senza questo iniziale lumicino, si rischia fortemente di non vedere: neppure le cose che, sotto i nostri occhi, sarebbero già evidenti.
Il processo curativo, come pure il processo preventivo, è quindi fondato sull’immaginazione. È l’immaginazione che cura, che porta alla guarigione. È l’immaginazione che, meglio ancora!, porta alla prevenzione (sia in direzione del malessere/benessere dell’organismo individuale sia in direzione dell’organizzazione del Sistema Sanitario).
Il “parco” delle tecniche immaginative
Limitandoci ad una sintetica esposizione e citando alcuni importanti lavori, si va dai processi suggestivi autocoscienti (Coué, 1926) all’ipnosi (Erickson e Rossi, 1982), all’autoipnosi “interna” sotto forma di training autogeno (Schultz, 1932-1966; Luthe e Schultz, 1969-1970; Wallnöfer, 1972; Gerardi, 1990; Peirone e Gerardi, 2016; de Rivera, 2017), al rilassamento (Jacobson, 1938; Durand de Bousingen, 1961; Benson, 1975; Sapir, Reverchon et al., 1979), all’intuizione (Goldstein, 1983), ai nuovi tipi di consapevolezza (Suzuki, 1958; Tart, 1975; Anagarika Govinda, 1976; Pope e Singer, 1979; Searle, 1997), sino allo specifico riguardante immagine, immaginazione, approccio visionario e visualizzazione (Schilder, 1935-1950; Desoille, 1961; Frétigny e Virel, 1968; Lazarus, 1977; Caldironi e Widmann, 1980; Kosslyn, 1980 e 1983; Cornoldi, Logie et al., 1986; Balzarini e Salardi, 1987; Zahourek, 1988; Benedan e Antonietti, 1997; Di Nuovo, 1999; Seligman, 2011; Widmann, 2015), con ulteriore sottolineatura per il particolare “peso analitico” posseduto dalla “immaginazione attiva” di matrice junghiana (Jung, 1936; Di Lorenzo, 1970; von Franz, 1978; Chodorow, 1997; Adorisio, 2013).
Questi (ed altri) contributi – quale più quale meno – mettono in evidenza la necessità di un addestramento visualizzativo che in definitiva “nasce da dentro”, al fine di creare sensibilità prima e visions dopo. Autogenicità e insight devono condurre a innovazione, ad una ricerca dove la creatività non si limiti alla sfera “artistico-ludica”, ma sappia estrinsecarsi anche in campo scientifico-tecnico (come già accade, ma non è mai abbastanza) e pure nella vita quotidiana (purtroppo con scarsa frequenza). Anche perché si tratta di “saper opporre resistenza al Male”…
Nel “cuore pulsante” della abilità-capacità immaginativa
“Fortis imaginatio generat casum.”
Michel de Montaigne
La geniale brevissima affermazione di Montaigne evidenzia quanto potente possa essere l’immaginazione nel produrre eventi. Ovviamente, questa qualità psichica non necessariamente funziona nell’immediato, né funziona sempre: però costituisce una potenzialità che, il più delle volte con opportuni passaggi, può raggiungere lo scopo. Con la robusta iniezione di una psicologia pratica, questa qualità è in grado di funzionare. Teoricamente in ogni essere umano.
In particolare, l’immaginazione attiva, pur essendo una facoltà psichica, è una immaginazione pragmatica, con caratteristiche non astrattamente teoriche bensì pratiche: è una “azione psichica” creatrice di potenti e opportunamente indirizzati “sogni ad occhi aperti”, non sterili fantasticherie bensì operative fantasie.
Cercando di sintetizzare gli elementi comuni nel parco complessivo delle variegate “psicologie immaginative”, si potrebbe dire quanto segue. Dal punto di vista tecnico, il “caldo motore” dei vari metodi finalizzati alla creazione di adeguate visions funziona essenzialmente attraverso la costruzione e l’attivazione delle seguenti skills:
- rilassamento fisico e psichico
- vuoto mentale (cancellazione delle scorie immaginative, e quindi “immaginazione zero”)
- concentrazione e “messa a fuoco”
- immaginazione positiva crescente (sino a “riempimento mentale” o “pienezza immaginativa”)
- immaginazione “attiva”, capace di “sentire” e di “fare”
- una quota minoritaria di immaginazione “fredda” (“di testa”) composta da pensiero e ragione
- una quota maggioritaria di immaginazione “calda” (“di pancia”) composta da:
- “fantasia” (quella produttiva)
- “configurazione” (di tipo profondo)
- efficace “insight”
- elevata carica simbolica
- “visualizzazione meditativa” (quella che centra il bersaglio)
- “suggestione auto-ipnotica” (quella endogena e cosciente, potente e salutare)
- “monoideismo plastico-suggestivo”
- “creatività” (quella autentica, libera dai quotidiani condizionamenti impliciti e subliminali).
Strategia e limiti
Troppo bello? Troppo agevole? Utopistico? C’è purtroppo da rilevare che esiste lo iato, il gap, fra scienza-tecnica da un lato e vita quotidiana dall’altro, con abissi di non-conoscenza e decisioni irrazionali da parte del cosiddetto “popolo”. L’opinione pubblica è, ahinoi, sempre più lontana da una reale fruizione di ciò che il progresso le metterebbe a disposizione… Questo è un grosso (insormontabile?) problema educativo e socio-politico di una civiltà sempre più avanzata (in senso assoluto) e sempre più arretrata (in senso relativo). Quanto presentato in precedenza risulta molto difficile per il profano… Molto lungo è il percorso per il profano… Molto ritardo è da colmare per il profano… Ma la scienza e la tecnica esistono. Gli strumenti esistono… e funzionano, ovviamente sempre con la buona preparazione del tecnico e con l’indispensabile elevato grado di collaborazione da parte dell’utente. Bisognerebbe colmare, o quanto meno accorciare, il distacco fra ciò che si potrebbe fare e ciò che effettivamente si fa. Il che risalta drammaticamente, anzi tragicamente, quando tutti sono travolti da problemi ben più grandi di loro, come quello di una pandemia.
Parliamoci chiaro. Senza fantasie sbrigliate e “sogni” galoppanti. Nulla di genialoide o strampalato può fermare un agente infettante, e neppure le sue conseguenze di ordine economico-sociale. Si può fare qualcosa di efficace nel macroscopico (prevenzione, quindi ex ante, con adeguate “visions” più o meno previsionali). Si può fare qualcosa nel microscopico (trattamento ex post e intervento ex ante, con adeguate visioni/visualizzazioni).
L’implementazione degli strumenti operativi in precedenza illustrati è sempre teoricamente possibile. Sta però all’operatore valutare, di volta in volta, caso per caso, situazione per situazione, quale azione attivare, cercando di sbagliare il meno possibile. In situazioni estreme, quali sono quelle dell’emergenza, è praticamente certo il commettere errori: le cose più importanti sono l’esserne consapevoli, come pure il saper tollerare di averli commessi soprattutto quando si lavora “in vivo”. Quest’ultima operazione non vuol dire cinismo, bensì fredda capacità di analisi critica, il che comporta una efficace elaborazione intrapsichica, frutto a sua volta di una forte integrazione fra autentiche attitudini personali-caratteriali e rigorosi percorsi formativi.
In estrema sintesi, si dovrebbe poter intuire le potenzialità del variegato parco di skills a disposizione, come pure il “modo di funzionamento” delle immagini opportunamente visualizzate, e quindi del loro rapporto con le svariate realtà: sempre tenendo ben presenti sia la doverosa prudenza sia gli evidenti limiti applicativi imposti dall’imprevisto e gigantesco problema della pandemia in corso.
Capacità immaginativa e capacità di resilienza
Ritornando quindi all’attuale “big problem”…Secondo il punto di vista macroscopico, ovvero quello delle “buone pratiche sociali”, si tratta di visualizzare e prevedere il virus e la pandemia (o qualsivoglia altro pericolo) nell’ambito di politiche decisionali attente ai bisogni delle varie comunità. Ad es., il saper inquadrare correttamente quale vision sia ottimale in ogni specifico contesto situazionale del settore “sanità pubblica”: se il “modello ospedalocentrico” oppure il “modello territoriale”. Secondo il punto di vista microscopico, ovvero quello delle “buone pratiche individuali”, si tratta di visualizzare, costruire e agire le risposte psichiche “ad personam”, per reazioni individuali fatte di resilienza, terapia, riabilitazione. Ad es., l’affrontare delicate questioni di salute sia fisica sia psichica come la gestione dei malati gravi / non gravi e dei familiari contagiabili / contagiati.Senza “schemi mentali attivamente immaginativi” si fa ben poca strada. La psiche ha bisogno di essere attiva, veramente attiva, cosa che solitamente non si riscontra. La psiche, nella quotidianità, viene sottoutilizzata, cosa che in maggior misura accade per l’immaginazione. Se non c’è “spessore”, se non c’è profondità, se non c’è partecipazione, non si va lontano. Non si vedono né gli scenari pandemici né le proprie personali risorse.
Una immaginazione veramente attiva è quella dotata di una forte carica di “sentimenti”, è quella che permette all’essere umano di “vivere”, nel senso più pieno della parola. Resistere, possedere resilienza e sopravvivere, per poter vivere.
La Vita (la vera vita) si basa sia sulla calma interiore profonda sia sulla giusta dose di un sano e realistico “entusiasmo”. Una poderosa e coraggiosa spinta per una intensa capacità immaginativa: questo serve per mettere a fuoco il mostro che non si mostra, il nemico che non si vede e non si tocca.
Per una psiche che immagina e conosce
In conclusione, qual è il senso degli argomenti che sono stati affrontati in questo saggio? Il senso è quello di aver cercato di mostrare, soprattutto purtroppo in negativo, quanto sia importante la capacità immaginativa, quanti e quali errori si siano commessi in termini di immaginario collettivo, sostanzialmente più o meno cosciente, più o meno inconsapevole nel non riuscire a prevedere o comunque a tamponare per tempo il problema di un virus nuovo, di una malattia nuova, di un problema che alla fin fine si è rivelato addirittura globale, mondiale, pandemico.
In un contesto tanto complesso quale può essere l’utilità operativa della psicologia e, in particolare, della psicologia immaginativa? Semplificando al massimo si può azzardare la seguente sintesi.
In fase di emergenza: bassa efficacia. In fase di cronicità: media efficacia. In fase di prevenzione: alta efficacia.
Nella situazione determinata dal nuovo coronavirus (pesantissima emergenza) la psicologia a volte riesce a dare poco, ma quel poco è già qualcosa. Altre volte (ad es. nel supporto agli operatori sanitari e ai familiari dei malati o deceduti) l’intervento è maggiormente fattibile e i risultati sono soddisfacenti.
Conoscere e agire. Conoscere per agire. Questa è l’essenza, il cuore della psicologia, una scienza al servizio dell’essere umano. Diventare consapevoli, attraverso la ricerca e la prassi. Conoscenza e consapevolezza, raggiunte (perché no?) anche ricorrendo al potente strumento intrapsichico chiamato “immaginazione attiva”.
Ripartiamo, in chiusura, dal titolo di questo saggio. Chi è il mostro che non si vede e non si tocca? Ovviamente: il nuovo coronavirus, talmente nuovo da risultare (almeno per ora) al di là della umana capacità conoscitiva. E cos’è la psiche posta in bilico fra realtà e immaginazione? È quella umana, con tutti i suoi limiti di soggetto che non riesce a cogliere appieno l’oggetto. Però, qualcosa si potrebbe muovere, in una mente e in un’anima che dessero segni di vita.
La capacità immaginativa, normalmente sottovalutata nella vita quotidiana, è ciò che invece permette la focalizzazione di vari problemi e la formulazione delle eventuali soluzioni. Ovviamente il problema specifico affrontato, cioè il nuovo coronavirus, richiede delle qualità tecniche, pratiche, mediche, biologiche, farmacologiche, manageriali etc. di enorme difficoltà. Però la psicologia può dare il proprio contributo, collaterale se vogliamo, ma in ogni caso importante perché, se agito per tempo, questo contributo può funzionare efficacemente quale strumento di prevenzione anche nei confronti di cose non chiare, di realtà sconosciute, di un virus sconosciuto, di una malattia sconosciuta.
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