
Di B. Bertagna – Consigliere Nazionale SISMED
MMG, Geriatra – Torino
Riportiamo un capitolo scritto dal Dr. Bertagna per il libro curato dal prof. Luciano Peirone “Nuovo coronavirus. Forme di resilienza umana per contrastare un nemico invisibile” per le edizioni CNOP. L’articolo è pubblicato per gentile concessione dell’Autore
Articolo originariamente postato il 15 Maggio 2020
Il virus arrivò all’improvviso, inaspettato, non come quelle malattie che i medici si preparano ad affrontare per tutta la vita e che talora non incontrano mai, difensori di una Fortezza in attesa del nemico come nel romanzo di Buzzati “Il deserto dei Tartari”. Il virus arrivò come un moderno invasore, sulle frequenze radiofoniche e televisive. Venerdì 21 febbraio dalle prime ore del mattino tutte le principali emittenti riportavano la notizia dei primi casi diagnosticati in Lombardia il giorno precedente.
E la vita degli italiani cambiò, prima con passo lento, poi sempre più rapidamente, al ritmo delle notizie sul diffondersi dell’epidemia, dei commenti degli esperti, delle ordinanze, dei decreti. Cambiò la vita dei giovani e degli anziani, degli uomini e delle donne, dei lavoratori e dei pensionati, dei poveri e degli abbienti, delle persone in buona salute e degli infermi, come solo il principe De Curtis “Totò” avrebbe potuto immaginare nello scrivere la sua poesia più celebre “A livella”.
Al montare della marea del contagio gli italiani si mostrarono disorientati, incerti, inizialmente non particolarmente impauriti, spesso increduli. I primi giorni decorsero in modo apparentemente normale, fatto salvo l’aumento delle code negli esercizi commerciali, gli studi medici regolarmente affollati, poi vennero i giorni dell’isolamento sociale, della chiusura degli esercizi commerciali, degli uffici pubblici, dei luoghi di lavoro, dei divieti e della grande paura.
Nel momento in cui si scrive risultano oltre 220.000 i contagiati in Italia e oltre 31.000 i deceduti; numeri purtroppo ancora destinati a salire.
Le persone anziane sono risultate le più vulnerabili al coronavirus. Secondo recenti dati ISTAT (Istat.it, 2020) le persone con più di 65 anni sono 13.9 milioni, pari al 23% della popolazione italiana; quelle con più di 75 anni circa 7 milioni, di cui il 60% donne, le persone con 85anni e più sono 2.2 milioni e circa 15.000 i centenari; numeri che fanno dell’Italia il paese più vecchio d’Europa insieme alla Francia e secondo nel mondo dopo il Giappone.
Il criterio anagrafico non è però un indicatore sufficiente a identificare la popolazione anziana che appare essere eterogenea per numerosi fattori sia personali, che sociali, che economici.
L’ invecchiamento a seconda del punto di vista considerato (biologico, psicologico, sociale) assume significati diversi. Classicamente si distingue un livello biologico, che determina l’età biologica, un livello psicologico che individua l’età psicologica e un livello sociale, a sua volta condizionante l’età sociale, riferita alla posizione raggiunta dalla persona nella comunità.
Sulla base, principalmente, del livello biologico si individuano numerosi fenotipi. Accanto ad anziani in buona forma fisica, cosiddetti robusti, e ad anziani attivi esistono gli anziani fragili e ampie fasce di persone anziane affette da plurime patologie croniche, da disabilità, da condizioni di non autosufficienza.




L’esperienza e gli studi confermano che l’invecchiamento può anche decorrere in condizioni di salute discrete, se non buone, e che non sarebbe l’invecchiamento di per sé ma piuttosto le malattie e le condizioni di vita, rappresentate in particolar modo dal welfare, dallo status economico, dalle relazioni sociali e dallo stile personale ad influenzare il declino fisico e psichico.
L’invecchiamento è quindi un processo molto complesso nel quale entrano in gioco numerosi fattori: biologici, psicologici, culturali, economici, sociali, ambientali.
La pandemia da Covid-19 ha determinato la più alta letalità fra le persone anziane.
La stragrande maggioranza dei deceduti è risultato avere più di 70 anni. Per motivi ancora da chiarire la letalità è risultata più elevata nei soggetti di sesso maschile in tutte le fasce di età. I dati ISTAT recentemente pubblicati (ISTAT, 2020) riferiscono di un eccesso di mortalità rispetto a periodi di confronto di circa 2,3 volte negli uomini di 70-79 anni e di 2,2 volte in quelli di età compresa fra 80 e 89 anni. In pratica è risultata maggiormente coinvolta la fascia di età dei giovani anziani (65-75 anni) a ridosso di quella degli anziani veri (75-85 anni), massimamente coinvolta, e in misura solo lievemente minore quella dei longevi (85-95 anni).
La malattia non ha colpito in modo indiscriminato; sono state soprattutto le persone affette da gravi patologie croniche concomitanti (malattie cardiovascolari, malattie respiratorie, diabete, patologie neurodegenerative, oncologiche ecc.) ad aver pagato il maggior prezzo in termini di mortalità. Una particolare incidenza di eventi fatali si è verificata fra le persone ospitate nelle Residenze Socio- Assistenziali e Socio-Sanitarie che, secondo dati parziali, accolgono oltre 300.000 anziani. E’ ragionevole pensare che il virus abbia colpito i presidi residenziali in ragione della vita comunitaria che vi si svolge, a causa delle difficoltà di isolamento, andando ad incidere su organismi già provati da situazioni di fragilità e di multipatologia, dove i danni provocati dal virus si sono sovrapposti a quelli causati dalle malattie coesistenti.
Il dato diffuso con regolarità e frequenza dai media, fin dal primo periodo di pandemia, sulla mortalità negli anziani ha sicuramente destato un elevato livello di preoccupazione nelle fasce di età più elevata della popolazione.
La pandemia ha slatentizzato e aggravato le paure tipiche dell’anziano: la paura rappresentata dall’incognita del futuro, della perdita dell’autonomia, dell’abbandono, della solitudine; la paura economica, la paura della malattia e della morte.
Di fronte alla paura le persone anziane hanno reagito, prevalentemente, adottando strategie per contenerla, mobilitando le risorse utili a ristabilire, nella situazione che si era creata, un sufficiente equilibrio interiore e, nello stesso tempo, fronteggiare le difficoltà pratiche della vita quotidiana. Si sono registrati in questo periodo dei comportamenti improntati ad una grande prudenza e una adesione massiccia e convinta degli anziani alle indicazioni di protezione e di isolamento sociale stabilite dalle autorità.
Le emozioni espresse dalle persone visitate dai medici di medicina primaria durante o subito dopo la fase del lockdown sono apparse diverse per tipologia e intensità a seconda delle fasce di età.
I soggetti più giovani sono risultati essere maggiormente interessati da anedonia, apatia, ansia, irritabilità, rabbia e talora sintomi francamente depressivi. Talora si sono registrati anche degli episodi di franco scompenso psicotico.
Le persone anziane hanno manifestato una serie di reazioni emotive molto più contenute rispetto a quelle espresse dai giovani e dagli adulti.
Le reazioni d’ansia, espresse da sintomi psicologici quali irritabilità, insofferenza e agitazione o sintomi fisici, registrate nel corso dei colloqui e delle visite mediche, sono state negli anziani inferiori rispetto alle fasce di popolazione più giovanile. La motivazione potrebbe risiedere nel riserbo tipico dell’anziano a manifestare i propri sentimenti o anche nella maggiore capacità dell’anziano nel controllarli. E’ infatti noto che nell’età anziana le emozioni sono spesso meglio modulate e meno espresse rispetto ad età precedenti.L’impressione che se ne ricava è quella di un buon equilibrio interiore della popolazione anziana in generale e di una reazione contenuta e appropriata delle persone anziane nei confronti delle conseguenze della pandemia e dell’isolamento.
Questi dati, per ora preliminari e aneddotici, che parrebbero confermati da un aumento molto contenuto del consumo di ansiolitici da parte degli anziani rispetto agli adulti, e che dovranno essere verificati da studi da effettuarsi nel prossimo futuro, farebbero propendere per strategie di coping messe in atto dalla maggioranza della popolazione anziana più efficaci rispetto agli adulti e ai giovani.
Il confinamento nella propria casa, ricca di significati affettivi ed emotivi, per un anziano è meno traumatico del cambiamento di domicilio o del trasferimento in una struttura protetta. Nella propria casa l’anziano conserva il senso dell’autonomia e la competenza ambientale che conferisce la sensazione di sicurezza.
L’isolamento domiciliare ha contribuito, in breve tempo, a svuotare gli studi medici e gli ambulatori dai loro abituali frequentatori, rappresentati soprattutto dagli anziani con multipatologia e dai soggetti fragili, quelli meno performanti nei compiti quotidiani, con minori riserve funzionali e pertanto più vulnerabili nei confronti delle malattie e, di conseguenza, più bisognosi di cure mediche.
Le strategie di isolamento adottate dagli anziani hanno comportato quasi sempre la mobilitazione delle risorse famigliari per le incombenze quotidiane, talora usufruendo in alternativa o in aggiunta dell’aiuto del vicinato o dei volontari per il rifornimento alimentare e dei farmaci. I contatti telefonici con il medico sono stati in questo periodo particolarmente frequenti.
L’isolamento nella propria abitazione volto ad evitare contatti a rischio con persone affette da Covid è risultato efficace nell’evitare maggiori danni alle persone anziane.
Nell’adottare e mantenere questa modalità comportamentale è possibile che molti anziani siano stati facilitati da un alto livello di coscienziosità e riflessività, dalla tendenza fisiologica dell’anziano a concentrarsi su se stesso ed evitare situazioni di rischio, dalla tendenza di alcuni anziani ad isolarsi dal contesto in cui vivono. Tendenza quest’ultima che non va assecondata in condizioni normali, per gli effetti negativi sulle facoltà cognitive e il tono dell’umore, ma che nella situazione particolare della pandemia è stata efficace per evitare un maggior numero di contagi.
L’aver evitato un danno maggiore, tuttavia, ha significato e significa per gli anziani il dover affrontare altri possibili danni, legati alla riduzione della mobilità, ad una alimentazione non sempre congrua alle esigenze della persona, alla riduzione dei contatti sociali, con i famigliari, con il medico, alla posticipazione di accertamenti clinici ed esami programmati.
Il forzato isolamento provoca tutta una serie di conseguenze negative per l’anziano: dalla riduzione del movimento, deleterio per una serie di patologie croniche che vanno dalle malattie cardio-vascolari e metaboliche quali il diabete, alle patologie artro-degenerative, al favorire l’insorgenza di disturbi d’ansia e depressivi fino al peggioramento delle funzioni cognitive.
Alcuni pazienti segnalano preoccupazione per gli accertamenti rimandati, altri riferiscono sentimenti di ansia che tuttavia appaiono in generale abbastanza contenuti e ben gestiti. Quasi tutti hanno dovuto, per scelta propria o per effetto della chiusura o limitazione dei servizi, per motivi di cautela o dislocazione delle risorse sanitarie necessarie a fronteggiare l’emergenza, sospendere o posticipare visite, accertamenti e cure mediche e chirurgiche non urgenti. Destano preoccupazione le conseguenze del lockdown soprattutto sulle persone più fragili, gli ammalati cronici e i disabili. La riduzione dei contatti con il medico, spesso limitati alla consultazione telefonica e alla richiesta di prescrizione dei farmaci abituali, la rinuncia alle visite periodiche, la posticipazione delle analisi e degli esami programmati e talora la rinuncia ad accedere ai servizi sanitari in occasione di insorgenza di nuovi sintomi, rappresentano un ulteriore motivo di preoccupazione per il possibile scompenso di situazioni precarie e instabili.
L’isolamento domiciliare è risultato essere particolarmente gravoso soprattutto per gli anziani che vivono da soli, quasi la metà delle donne ultra 75enni secondo le statistiche vive sola, per quelli che non hanno figli, circa il 9%, per i soggetti più fragili, per i disabili e gli ammalati cronici non autosufficienti, talora privati a causa di contagio o di rientro nel paese di origine del rapporto con l’abituale assistente personale, figura professionale essenziale anche per il sostegno psicologica atto a contrastare l’ansia e la tristezza. Queste situazioni, non maggioritarie nell’universo degli anziani ma largamente presenti, non possono che aggravare le paure e predisporre verso la depressione. Alla fragilità fisica, infatti, si affianca spesso la fragilità psichica e sociale che non può che essere aggravata nel corso di crisi epocali come la pandemia da Covid-19. Inoltre la riduzione dei contatti predispone verso il senso di solitudine, la riduzione degli stimoli e le funzioni che non vengono esercitate facilitano il declino cognitivo. Per poter interagire positivamente con l’ambiente esterno l’anziano deve essere in grado di comunicare, ma perché ciò avvenga non può prescindere da una condizione affettiva positiva e da una favorevole collocazione nell’ambiente famigliare e sociale in cui vive.
La pandemia da coronavirus ha reso ancora più evidente il divario tra le varie classi di persone, in particolare tra i giovani e i più anziani, questi ultimi penalizzati dalla minore disponibilità di risorse economiche e strumenti tecnologici di comunicazione.
E’ indubbio che gli anziani necessitino della massima attenzione da parte della società e delle istituzioni. In situazioni di domiciliarità è essenziale che l’anziano mantenga il livello di funzionalità con una adesione convinta e consapevole ad un corretto stile di vita.
Le buone norme, quali il mantenere una alimentazione variata e sana, una buona idratazione, l’esecuzione di semplici esercizi fisici, assumono un’importanza anche maggiore in situazioni di confinamento.
E’ opportuno che l’anziano si mantenga in esercizio coltivando interessi, esercitando attività che diano soddisfazione e stimolino la mente, possibilmente con progetti, letture, ricerche, studi. Ogni attività che richieda concentrazione, curiosità, interesse, interazione aiuta a mantenere integre le funzioni cognitive e conservare il tono dell’umore.
Qualora consentito dalle condizioni fisiche e ambientali, è utile effettuare delle passeggiate all’aperto rispettando la distanza interpersonale.
Il contatto con il medico per comunicare l’insorgenza o la variazione di sintomi deve essere non solo garantito ma facilitato.
Per molte settimane gli unici contatti degli anziani ricoverati negli ospedali e nei presidi residenziali con le proprie famiglie sono avvenuti per il tramite del personale sanitario.
E’ indispensabile che l’anziano confinato in casa abbia qualcuno che lo contatti frequentemente, utilizzando ad esempio il mezzo telefonico, per accertarsi delle sue condizioni di salute, rassicurare e trasmettere sentimenti di affetto, sostegno e umana solidarietà.
Ora che la fase 2 è finalmente arrivata e si prospetta la fase 3 di convivenza con il virus, l’impressione è che gli anziani attendano nella protezione delle proprie abitazioni che si definiscano meglio le misure atte a garantire la sicurezza e il loro effetto sulla diffusione del virus.
In alcuni casi gli anziani dovranno riparare i danni psicologici riportati, ma l’impressione complessiva è quella di una maggior tenuta rispetto ad altre fasce di età che ora, con la riduzione della tensione emotiva legata all’isolamento e alla paura del contagio, lasciano emergere la paura per il danno economico e la perdita del lavoro.
Gli anziani possiedono il patrimonio dell’esperienza fattuale ed emotiva, rappresentano la memoria di una popolazione, i principali attori del dialogo intergenerazionale.
Il ritorno ad una condizione precedente l’infezione è impensabile per ciascuno di noi, ancora più problematica sarà la sutura tra il tempo precedente e quello successivo per le persone anziane più fragili a causa delle conseguenze fisiche, psichiche, relazionali ed economiche connesse a questo evento.
Tutti i professionisti della salute (medici, psicologi, infermieri, assistenti sociali) che dovranno intervenire per portare assistenza e aiuto nei confronti degli anziani più deboli dovranno valutarne con attenzione il rischio e il grado di fragilità. In altri termini la condizione di vulnerabilità funzionale, cognitiva, sociale ed economica che lo espongono ad un alto rischio di perdita di competenza e di funzioni che può esitare nella disabilità, nella perdita dell’autonomia e dell’autosufficienza.
Occorrerà soprattutto “pensare” che la persona anziana possa essere un soggetto fragile e sospettare la presenza di cause di fragilità soprattutto quando non vengono denunciate.
L’approccio geriatrico alle condizioni di fragilità, evidenti o presunte, consiste nel rilevare i sintomi e i segni della fragilità (astenia, perdita di peso, riduzione della forza muscolare, difficoltà di movimento, diminuzione dell’attività fisica), confermare e misurare, attraverso appositi strumenti, il grado di fragilità, identificare i fattori di rischio predisponenti, spesso interagenti tra di loro, rappresentati dall’invecchiamento avanzato, da comorbilità fisiche e psichiche, da alimentazione inadeguata o carente, da mobilità ridotta, cui si aggiungono talvolta carenze ambientali o condizioni di svantaggio sociale ed economico. Viene valutata con criterio multidisciplinare e utilizzo di scale e test la funzionalità dei vari organi e apparati, il profilo psicologico, l’assetto affettivo e cognitivo, i cui deficit, in condizioni di stress, possono far precipitare l’equilibrio precario dell’organismo. La valutazione multidimensionale geriatrica è riconosciuta come fondamentale per contrastare l’effetto sinergico fra le varie patologie e gli “eventi a cascata” (eventi patologici che condizionano o facilitano l’insorgenza di altri), che possono condizionare l’insorgenza delle sindromi geriatriche con altissimo rischio di disabilità, perdita di autonomia e autosufficienza, ricoveri ed eventi fatali.
Attraverso la valutazione multidimensionale è possibile riconoscere tempestivamente le condizioni di rischio, effettuare la diagnosi precoce, identificare gli obiettivi e impostare in chiave multiprofessionale un piano assistenziale concreto, terapeutico e riabilitativo, centrato sulla persona e finalizzato al mantenimento delle funzioni conservate e al recupero di quelle perse, riducendo al minimo il rischio di ulteriori perdite di funzioni, ottimizzando nel contempo il trattamento delle comorbilità.
Sarà importante coinvolgere ancora di più nel processo di cura i famigliari e il caregiver per aiutare l’anziano a recuperare e mantenere le migliori condizioni di salute e la massima autonomia possibile, recuperare la vita di relazione e rafforzare il senso di una vita che ha un valore di per sé, oltre che per quello che ha fatto e quello che ancora può fare.
L’emergenza attuale si combatte e si sconfigge con gli strumenti della scienza, ma anche con il senso di comunità, la solidarietà, la tolleranza, il senso positivo della vita, la capacità di resistere con forza ma anche con ironia e, se possibile, buon umore. I “social media” ci hanno ampiamente abituato a condividere notizie, informazioni, immagini e messaggi, cambiando, almeno in parte il nostro modo di comunicare.
Da questa traumatica esperienza abbiamo la possibilità di trarre alcuni importanti insegnamenti.
Dovremo considerare la vita dal punto di vista clinico ma non solo: la vita è anche rappresentata dall’insieme degli affetti e delle relazioni sociali.
La pandemia da Covid-19 ci ha aiutato a riscoprire i valori della solidarietà, degli affetti famigliari, dell’amicizia, della vita salubre, a riflettere sui temi della società e dell’ambiente in cui viviamo e sulla necessità di averne rispetto e cura.
Ci ha fatto riflettere sul senso profondo della vita personale, così indissolubilmente legata a quella degli altri, sul bisogno di dare delle risposte alle categorie sociali più deboli, riservare un’attenzione specifica alle persone più vulnerabili, quali le persone sole, gli anziani, i disabili, le persone ospitate nelle strutture residenziali e ricoverate negli ospedali alle quali devono essere assicurate la massima protezione, cure attente e appropriate. A questo proposito il Comitato Nazionale per la Bioetica (2020) si è espresso chiaramente: “Il criterio clinico è il più adeguato punto di riferimento per l’allocazione delle risorse. Ogni altro criterio di selezione come ad esempio l’età anagrafica (omissis) è eticamente inaccettabile”.
Una signora anziana (F.R. di anni 86) congedandosi con un sorriso dallo studio di chi scrive ha espresso questo pensiero:
“Tanti paragonano questa cosa alla guerra, perché non hanno visto la guerra…Ora dovremo ricominciare, ma allora, dopo la guerra, avevamo iniziato più dal basso. Malgrado tutto non ho perso la speranza in un mondo più buono”
Quale miglior auspicio per il futuro?
Note bibliografiche
- ISTAT. (2020). Indicatori demografici anno 2019. (online). Istat.it, February 11, 2020.
- ISTAT. (2020). Impatto dell’epidemia Covid-19 sulla mortalità totale della popolazione residente primo trimestre 2020. (online). Istat.it, May 4, 2020.
- ISTAT. (2020). Aspetti di vita degli over 75. (online). Istat.it, April 27, 2020.
- Comitato Nazionale per la Bioetica. (2020). Covid 19: la decisione clinica in condizioni di carenza di risorse e il criterio del “triage in emergenza pandemica”. (online). Bioetica.governo.it, April 8, 2020.