Acido acetilsalicilico nella prevenzione primaria del paziente diabetico

L’importanza di una valutazione “internistica” del paziente

Il paziente affetto da diabete mellito di tipo 2 – anche se in prevenzione primaria – ha purtroppo un rischio assai consistente di ospedalizzarsi o morire per complicanze vascolari. Secondo le Linee Guida della European Society of Cardiology (ESC)/European Association for the Study of Diabetes (EASD) relative al diabete mellito (1), il rischio cardiovascolare del paziente diabetico è di tipo molto elevato – anche in prevenzione primaria – quando è presente proteinuria oppure un filtrato glomerulare stimato <30 mL/min/1.73 m2 e/o ipertrofia ventricolare sinistra; oppure retinopatia diabetica oppure tre fattori di rischio addizionali; oppure, infine, se la durata del diabete mellito (se di tipo 1 insorto in età giovanile) è >20 anni. Lo stesso rischio, invece, è classificabile come elevatose il danno d’organo sopra citato è assente, ma il diabete mellito è stato diagnosticato da 10 o più anni ed è presente un fattore di rischio addizionale. In prevenzione primaria, pertanto, è considerato a rischio cardiovascolare moderatosolo quel paziente con diabete mellito che abbia una età <35 anni (se di tipo 1) oppure < 50 anni (se di tipo 2), ma con diabete mellito di durata < 10 anni e nessun fattore di rischio addizionale. 

In tale contesto, la valutazione retrospettiva di 1.532 italiani diabetici [934 uomini e 598 donne, età mediana 56 e 57 anni, range (25°-75°) pari a 50-61 anni e 52-62 anni; durata del diabete mellito pari a 3 anni, range (25°-75°) 0-8 anni e 4 anni, range (25°-75°) 0-10 anni; rispettivamente] ha permesso di stratificare il rischio cardiovascolare in maniera nettamente rivolta verso il rischio elevato/molto elevato (2). Usando l’equazione di Framingham (3), infatti, un rischio di manifestare malattia coronarica superiore al 20% a dieci anni era presente nel 51.9% (n.742) dei pazienti senza alcuna evidenza di patologia vascolare nel corso di un quinquennio di osservazione e nel 78.4% (n.80) di quelli con almeno un evento durante lo stesso periodo. Un rischio compreso tra il 10 ed il 20%, invece, era presente nel 36.2% (n.517) dei pazienti senza evento e nel 15.7% (n.16) di quelli con evento. Un rischio inferiore al 10%, infine, era evidente solo nel 12% (n.171) dei pazienti con evento e nel 5.9% (n.6) di quelli senza evento. Pertanto, appare evidente come nella vita reale i pazienti diabetici italiani siano classificabili quasi sempre – già in prevenzione primaria – come a rischio elevato oppure molto elevato.   

In linea con quanto sopra, le Linee Guida ESC/EASD (1) affermano come solo il paziente diabetico senza malattia cardiovascolare, sia di tipo 1 che di tipo 2, caratterizzato da un rischio moderato non debba essere di norma trattato con acido acetilsalicilico a basso dosaggio. Al contrario, può essere trattato con acido acetilsalicilico a basso dosaggio quello con un rischio cardiovascolare elevato oppure molto elevato, anche se in prevenzione primaria. Tale conclusione “prudente”, tuttavia, è fondata soprattutto sull’attenta analisi di un recente studio, l’A Study of Cardiovascular Events iN Diabetes (ASCEND), nel quale 15.480 pazienti diabetici senza malattia cardiovascolare hanno ricevuto aspirina 100 mg al giorno oppure placebo (4). L’outcome primario composto da infarto miocardico non fatale, ictus cerebri non fatale di tipo non emorragico/attacco ischemico transitorio, oppure morte cardiovascolare non dovuta ad ictus emorragico confermato è stato osservato in 658 pazienti (8.5%) in trattamento con acido acetilsalicilico a basso dosaggio ed in 743 (9.6%) in trattamento con placebo (rapporto di rischio = 0.88, intervallo di confidenza al 95% 0.79–0.97; p=0.01). I sanguinamenti maggiori erano però pari al 4.1% (n=314) nel gruppo acido acetilsalicilico a basso dosaggio ed al 3.2% (n=245) in quello placebo (rapporto di rischio = 1.29, intervallo di confidenza al 95% 1.09–1.52; p=0.003), “pareggiando” quindi apparentemente il beneficio precedente. 

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