Ho una casa piena di squali

La condizione dei minori a rischio nelle famiglie disfunzionali alla luce del Covid-19

Di Maria Rita Parsi

Nota dell’Editore

Questo spazio fuori tema è tratto dall’ebook Nuovo Coronavirus e Resilienza – Strategie contro un nemico invisibile”, opera curata dal Prof. Luciano Peirone (che ringraziamo per la gentile concessione) a cui hanno partecipato molti altri autori ed esperti dei vari ambiti trattati.
Qui sono disponibili il primo, il secondo ed il terzo numero delle uscite precedenti

Il Prof. Luciano Peirone è psicologo psicoterapeuta; già professore a contratto presso l’Università degli Studi D’Annunzio e l’Università degli Studi di Brescia, è membro del gruppo di lavoro dell’Ordine degli Psicologi del Piemonte “Terrorismo, radicalizzazione, violenza estremistica”e del gruppo “Psicologi per i Popoli” Piemonte.
Riveste molti incarichi editoriali per riviste di settore ed è membro di diverse associazioni scientifiche italiane ed internazionali. Maggiori informazioni sono visualizzabili sul suo
sito internet

In questa uscita, riportiamo il capitolo “Ho una casa piena di squali”. La condizione dei minori a rischio nelle famiglie disfunzionali alla luce del Covid-19 redatto dalla Dott.ssa Maria Rita Parsi


Stiamo sottovalutando l’impatto che le settimane di chiusura forzata in casa possono avere avuto sui bambini, sui preadolescenti e sugli adolescenti, che ora stanno affrontando la Fase 2. In tal senso, c’è, anzitutto un argomento di grande rilievo umano ed affettivo che riguarda, direttamente ed indirettamente, i ragazzi: gli anziani. E, dunque, per tanti di loro, i bisnonni e i nonni.

Come sappiamo, questa epidemia ha colpito soprattutto le fasce più anziane della popolazione. Al punto che un sistematico impegno che si rende, oggi, necessario a combattere il Covid-19, soprattutto nella malaugurata ipotesi di una “seconda ondata” del contagio, dovrebbe, anzitutto, essere: “Save the children but also the elders!”. Purtroppo, ci sono molti anziani deceduti, in cura domiciliare o che, comunque, non hanno potuto vedere i loro amati nipoti. Questo aspetto può avere ripercussioni negative sui minori. Infatti, molto spesso, i nonni e i bisnonni sono figure di rilevante importanza nella vita di bambini, preadolescenti, adolescenti.

Soprattutto in situazioni critiche, come nel caso delle famiglie “frantumate”, con drammatici conflitti in casa, con genitori separati o che si stanno separando e dove i minori sono anche costretti ad assistere alle loro devastanti liti. In questi casi, assai spesso, i nonni svolgono l’importante funzione di “Bene Rifugio”. E non solo affettivo ma alle volte, perfino, contribuendo, dal punto di vista economico, al sostegno delle famiglie dei loro nipoti.

Pertanto, l’hashtag, coniato dalla Fondazione Movimento Bambino Onlus, che presiedo, per questo “covid-time”, è, non a caso: “#SaveTheElders”. Poiché, oggi, la condizione di tanti anziani è simile, se non affine, a quella di tanti minori “a rischio”. Vero è, invece, che, per quei ragazzi che vivono in “Famiglie Contenitive”, questa atipica fase di difensiva sospensione, può aver costituito un momento di consolidamento e di sviluppo dei rapporti affettivi all’interno della famiglia. Anche con i fratelli! E, ancora, di studio sereno, di ripristino di ludici intrattenimenti, individuali e familiari. Poiché, in queste famiglie, si è avuta e si ha la possibilità, avendo, genitori e figli, maggiore tempo a disposizione per stare insieme, per dialogare, per ascoltare e per essere ascoltati, di riorganizzare tempi, ritmi e spazi della vita comune, di ribadire, con fiducia, propositi e di fare progetti, rivisitando regole e limiti, “negoziando” e/o “rinegoziando”, autonomie e doveri. Per quei minori che, al contrario, vivono in “Famiglie Disfunzionali”, segnate da problemi di convivenza, conflitti preesistenti, gravi o nuove difficoltà economiche, malattie e crolli psicologici, la co- strizione a stare tutti insieme, a casa, può essere vissuta dai bambini, dai preadolescenti, dagli adolescenti, come un’autentica “carcerazione” che, nella fase due, potrebbe favorire fughe incontrollate e illeciti intrattenimenti. Soprattutto, poi, se in quelle famiglie “Disfunzionali”, si respirano i miasmi del conflitto, della disgregazione e, perfino, dell’odio tra i genitori. Tutto questo, infatti, destabilizza i minori e crea una minacciosa, incandescente atmosfera che può portarli a deprimersi o, al contrario, a ribellarsi con aggressività. E, ancora, può procurare loro disturbi del son- no, dell’alimentazione, dell’apprendimento e della crescita. Infatti, nelle “famiglie disfunzionali”, la costrizione a rimanere in casa, senza poter uscire può, nei passaggi che dovrebbero, poi, ricondurre alla normalità, ulteriormente, alimentare le difficoltà di relazionarsi con se stessi, con le proprie emozioni e con i propri bisogni ed empatizzare con quelli degli altri. E, anche, minare la fiducia nell’autorità degli adulti-genitori, nel microcosmo familiare e, più in generale, “l’autorevolezza” delle autorità educative, legali, sociali, nel macrocosmo sociale. Pertanto, proprio in questo momento è necessario occuparsi, immediatamente e di più, proprio e soprattutto, dei minori e valutare, a pieno, il grave rischio che non farlo potrebbe comportare e comporterà.

Quando si è chiusi in casa, costretti a non uscire, a comunicare, soltanto, virtualmente, con i propri coetanei e con gli insegnanti, le difficoltà – lo sottolineo, ancora – si acuiscono e si slatentizzano ed emergono problemi e traumi, individuali, familiari e/o, anche, connessi al tessuto sociale e culturale che circonda i minori e le loro famiglie. E questi problemi, a maggior ragione, devono essere affrontati nella Fase 2 e, ancora, nelle fasi che seguiranno.

Questo emerge anche dai dati dell’“Osservatorio sui mutamenti sociali in atto” coordinato dal Prof. Antonio Tintori del CNR, al quale partecipa la Fondazione Movimento Bambino Onlus, e dal lavoro dell’Osservatorio Nazionale per l’Infanzia e l’Adolescenza, presieduto dalla ministra Bonetti, che mi vede tra i componenti in qualità di esperta. Se penso, però, a tutte le persone – adulti e minori – che, prima di questa pandemia, stavano, anche con il supporto psicopedagogico e psicoterapeutico – indagando, riflettendo, analizzando le proprie dinamiche familiari, il rapporto con i propri figli e dei propri figli con loro, i propri bisogni negati, i propri traumi, i propri timori e le proprie aspettative: lavorative, culturali, sociali, contestualizzandole alla luce di una sistematica, metodologica ricerca introspettiva, ho potuto verificare – continuando a dialogare con loro online – che queste persone hanno saputo e potuto affrontare difficoltà e problemi, anche grandi, con energia, creatività, capacità di contenimento e di approfondimento empatico nel rapporto con se stessi e con gli altri. E anche di utilizzare il virtuale, per continuare a farlo!

E, dunque, in occasione di questa crisi pandemica – laddove “crisi” significa “opportunità” – agire e reagire nel migliore possibile dei modi combattendo, con coraggio, angosce, paure, panico, stress e, ancora, senso di abbandono e solitudine. Chi, invece, si è trovato senza sostegno formativo, culturale, assistenziale, sanitario e, dunque, senza gli strumenti adeguati e necessari a misurarsi con questo globale, apocalittico cambiamento, ha affrontato con traumatico stress la “costrizione” in casa e i problemi dei figli, anche connessi alla chiusura delle scuole, delle palestre, dei circoli culturali, sportivi, ricreativi, dei negozi, dei ristoranti, dei bar. O, ancora, quelli legati alla propria sfera sentimentale e amicale. Ed essendo deprivato del contenimento dei ritmi della reale vita quotidiana, del lavoro, dei rapporti sociali, si è trovato in gravi difficoltà. Difficoltà che potrebbero aggravarsi nel post Covid-19. A queste persone, alla loro impotenza che può riverberarsi sulle loro famiglie e sui minori – oltre che alla solitudine e alla povertà estrema di tanti – debbono essere subito indirizzate risorse economiche e mirati programmi di sostegno psicologico e assistenziale qualificati. Per evitare che tali condizioni di disagio psichico, di distacco, di limite aspro, di frustrazione, si trasformino in rabbia, individuale e sociale, in malinconia, disperazione, senso di esclusione, solitudine, abbandono, paura per il futuro, sfiducia, malattia mentale. E, ancora, nei minori, come negli adulti, in attacchi di ansia e di panico, in disturbi dell’alimentazione quali anoressia, bulimia, obesità, in disturbi della comunicazione, quali internet addiction e ludopatia. Con le gravi conseguenze da “stress post traumatico” che ne possono, individualmente e socialmente, derivare. E senza, in alcun modo, sottovalutare che molti minori, nel lockdown si sono sentiti, e si sentono ancora oggi nella Fase 2, vittime di maltrattamenti fisici e psicologici e/o spettatori coinvolti di “violenza assistita”. E hanno fatto e continuano a fare “da contenitori impotenti” ai disagi e alle disfunzionali dinamiche relazionali di genitori e adulti “in crisi”.

Nelle “Famiglie contenitive”, dove le cose vanno sostanzialmente bene e c’è armonia, le ripercussioni psicologiche post traumatiche da Covid-19, potranno essere limitate e, comunque, non tali da suscitare allarme. Superata questa drammatica fase, questi minori saranno, di fatto, in grado di recuperare il disagio patito durante la quarantena e le problematiche connesse alla mancata riapertura delle scuole. Negli ultimi mesi, tuttavia, tutti abbiamo vissuto proprio come i topi in gabbia del film Mononcle d’Amérique di Alais Resnais (1980) laddove il grande psichiatra francese, Henri Laborit, mostrava gli effetti dello stress su cavie rinchiuse in una gabbia, costantemente attraversata da scariche elettriche. È questa una condizione che mette, comunque, a rischio “la salute mentale” di adulti, bambini, preadolescenti e adolescenti. In particolare, poi, dei più picco- li, poiché essi avvertono emotivamente tensioni e cambiamenti che non sanno e non possono controllare e/o comprendere. E, al contempo, non riescono ad esprimere pienamente, o veder soddisfatti, appieno, i loro espressi e/o inespressi bisogni. Pertanto, essi manifestano una maggiore predisposizione ad ammalarsi, a diventare aggressivi o depressi, a regredire. Questi disagi, infine, oltre che dalla generale condizione di stress, generata dalla pandemia nelle famiglie, dipende, ovviamente dagli adulti che stanno intorno a loro. Poiché, ogni persona ha una storia a sé e ha una propria storia familiare alle spalle e ciascun membro di una coppia genitoriale ha, poi, una sua famiglia di origine dalla quale proviene e dalla quale è stato educato/a e preparato – oppure no! – ad affrontare le sfide della vita. Anche sfide dure, come questa! E, dunque, ha un suo bagaglio di esperienze, di vissuti, di strumenti umanistici e scientifici acquisiti e non, di cultura, di educazione, di rispetto – o meno – della legalità che sono alla base dell’identità e della personalità di ciascuno e di tutti. Bagaglio esperienziale, culturale, umano che, nel bene e nel male, deve fare i conti con la gestione di questo pandemico disagio. E che condiziona la sua capacità di trasformare, in occasioni di crescita e cambiamento, questa traumatica esperienza. E, ancora, in qualcosa che non sia ancor più traumatico per i suoi figli. I quali, peraltro, sono spettatori delle re- azioni degli adulti di fronte alle difficoltà e ne subiscono, fino in fondo, l’influenza e l’esempio dei loro comportamenti. Comportamenti che, se positivi, adeguati, responsabili, possono aumentare il loro livello di auto- stima, di resilienza, la loro solidità, dignità, coerenza, stabilità di fronte alle attuali e future prove della vita. Ricordiamo, poi, che l’investimento, anche economico, sulla “salute mentale” dei Formatori, dei Legislatori, delle “autorità autorevoli” che guidano e amministrano i Paesi, è centra- le, tanto quanto garantire la salute fisica di ciascuno e di tutti. Poiché, assai spesso, quel benessere fisico può, addirittura, dipendere proprio dal benessere mentale. E, certo, non aiuta il raggiungimento di questo equilibrio, il clima da “bollettino di guerra” che in questi mesi è stato costantemente proposto dai mass-media tradizionali e non. E non mi riferisco soltanto ai programmi di informazione, ma penso anche all’intrattenimento e a tanti film e serie televisive che vengono mandate in onda, senza tenere conto del momento che stiamo vivendo. Insomma, è necessaria una programmazione mediatica che sostenga, in modo creativo e costruttivo, il momento cupo, incerto, drammatico che stiamo vivendo. Una programmazione diversamente pensata, culturalmente illuminata, competente, attenta potrebbe, infatti, consentire a chi – soprattutto i minori – ne fruisce, di fare riferimento ad esempi, orientamenti e scelte, generose, scientificamente, umanisticamente e storicamente, valide. E di ricevere suggerimenti, indicazioni, proposte che contengano possibili soluzioni a situazioni, come quella ingenerata dal Covid-19, che a sua volta ha innescato una crisi economica di proporzioni colossali, caratterizzata da stress, angoscia, paura, dolore e comunque, insicurezza ed incertezza per il futuro. Bisogna, allora, provvedere, ricorrendo al riconosciuto, selettivo contributo di qualificati, esperti e responsabili operatori della comunicazione, ad organizzare, con metodologica, scientifica, sistematicità, una programmazione massmediatica capace di illuminare l’oscurità del tunnel che stiamo attraversando.

Il Covid-19 ha nel frattempo originato lo “Psicovid-19”. Poiché l’attuale contesto pandemico, potrebbe influenzare, anche in seguito, negativamente, la mente dei bambini, dei preadolescenti, degli adolescenti – e, naturalmente, degli adulti! – innescando in loro, come in tutti, paure per il futuro prossimo e venturo, angoscia di morte, panico, malessere psichico e fisico, devianze. Anche e, soprattutto, perché il nemico è invisibile, ingovernabile, irrefrenabile. E molti, negli ultimi mesi, hanno sviluppato forme di angosciante senso di impotenza di fronte a questa pandemia. Personalmente, io considero questo anche un “contagio emotivo”. E tale contagio emotivo, di fatto, può continuare a mietere vittime ancora per molto tempo. Dobbiamo, pertanto, essere in grado di elaborare il lutto di quanto ci è accaduto con consapevolezza, responsabilità, e strumenti psicologici, informazione e formazione adeguate. E, anzi, approfittare del momento, tenendo in debito conto gli aspetti problematici che, essendo stati slatentizzati a causa del Covid-19, sono emersi. Per reinterpretarli, in chiave positiva, pensando a quali analisi, azioni preventive, metodologie operative, alleanze, supporti economici e organizzativi e a quali soluzioni operative, possiamo, oggi, far riferimento e mettere in atto, per risolvere “alla radice” antichi problemi e piaghe sempre aperte. E non trovarci, poi, di fronte agli stessi problemi, nelle occasioni di difficoltà e di emergenza che, anche in seguito, potrebbero presentarsi o ripresentarsi.

Un rischio, purtroppo, assai concreto, per i più giovani, in questa fase, è che il loro immaginario diventi, ancor più, “prigioniero” del web. In altre parole, la sospensione dagli impegni della vita quotidiana che abbiamo vissuto a motivo della pandemia, ha avuto, come pratica, inevitabile conseguenza, il “ricorso pervasivo al mondo virtuale”. Anzitutto e soprattutto, da parte dei minori. E li ha resi, per certi versi, iperconnessi, sia per ricevere informazioni, formazione, sia per mantenere i necessari rapporti umani con i coetanei, sia per lo svago. Se, però, questa modalità di comunicare si è dimostrata utile, rendendo “virtuoso” il virtuale e ci ha permesso di svolgere una serie di attività, necessarie a contenere l’emergenza Covid-19, è anche vero che non dobbiamo commettere l’errore di promuovere, ad oltranza, l’utilizzo del virtuale. E di farlo prevalere sulle attività “de visu”, sulle pratiche lavorative ed educative, sui contatti, sugli intrattenimenti culturali, artistici, sportivi della vita reale, con il rischio di favorire lo sviluppo di generazioni iperconnesse. Se non, addirittura, di “Generazioni H”, depositarie della sindrome Hikikomori. Perciò, dovremmo tornare alla “cosiddetta normalità” – seppure con le dovute, imposte, nuove, cautele – potenziando il ritorno nelle aule scolastiche, le occasioni di stare insieme, di incontrare gli altri, di praticare sport, di godere di attività spirituali, culturali, artistiche e ludiche, individualmente e collettivamente. Dobbiamo, in tal senso, procedere per gradi, allenandoci al cambiamento e non improvvisando. E, prepararci, nel rispetto delle nuove condizioni dettate dal Covid-19, senza imperizia e senza cedere alla fretta, a ripristinare i ritmi della nostra vita quotidiana, adattandoli, con “resilienza” a quelli imposti dal Covid-19. Infatti, passare dal “tutto chiuso” al “tutto aperto”, senza una fase intermedia che consenta di acqui- sire le necessarie conoscenze di limiti e rischi e senza una gradualità che, se evasa, potrebbe avere conseguenze decisamente negative, costituisce un rischio da non correre.

Esiste, poi, un rischio amplificato di ludopatia. Infatti, rispetto all’uso dei social media, abbiamo assistito nella fase di lockdown ad un raddoppio del tempo del loro utilizzo, per almeno quattro soggetti su 10. È una statistica che riguarda tutti e tutte le fasce di età. Infatti, tale aumento dell’utilizzo del virtuale, si associa ad un incremento di emozioni e di stati, anche negativi, quali, ad esempio, la rabbia, il disgusto, la paura, l’ansia, la tristezza che vanno attentamente valutati. “L’iperconnessione di massa”, inoltre, colpisce in modo particolare le fasce più giovani. Ovvero, quei “nativi digitali” il cui immaginario è già, da tempo, prigioniero del web. Tra i minori di 12 anni, ad esempio, risulta esserci un abuso di Inter- net, per giocare e comunicare col mondo reale e i coetanei, pari al 33,4%. Giocare è, poi, una possibilità di intrattenimento che, in generale, se fatto con moderazione, offre sollievo e svago. Attenzione, però, ai pericoli che, in questa situazione di coercitiva e isolante clausura, e, anche in seguito, possono derivare dallo stabilire una dipendenza “proprio” dal gioco, soprattutto online. Infatti, chi gioca troppo assiduamente, può diventare aggressivo e/o depresso o ludopaticamente in cerca di continue sfide, per superare il malessere interiore e la sensazione di impotenza che ne deriva se non si vince. E, ancora, allorquando si trasferisce l’aspirazione spasmodica a superare gli ostacoli nelle sfide che il gioco online propone e comporta. E questo, nel tempo, può trasformarsi in una vera e propria “droga mentale”. Come dire: la dipendenza dal gioco è come un virus che, pervasivamente, può colpire chiunque, dai giovanissimi agli anziani, che la adottano, per distrarre la loro attenzione dai problemi della vita reale. In generale, ma soprattutto in questa critica emergenza dettata dal Covid-19, dobbiamo, poi, stare molto attenti proprio ai bambini, ai preadolescenti e agli adolescenti poiché essi attraversano delicate e radicanti fasi della loro crescita. Fasi in cui tutto, in loro, è fisicamente, mentalmente e psichicamente, in cambiamento. Pertanto, se, in questo decisivo iter del loro sviluppo, non sono seguiti, supportati, ascoltati, informati e formati, possono trovare – proprio nella regressione alla dipendenza indotta dal gioco online – come, peraltro, da altre forme di dipendenza, quali l’alcool e le droghe – una pericolosa ed allarmante valvola di sfogo ai loro dubbi, alle loro sfiducie, alle loro incertezze. Relative sia al presente che al futuro che li aspetta.

Maria Rita Parsi
Psicopedagogista, Psicoterapeuta, Docente, Saggista e Scrittrice. Roma.
Componente dell’Osservatorio Nazionale per l’Infanzia e l’Adolescenza.
Già membro del Comitato ONU sui diritti del fanciullo.
Presidente della Fondazione Movimento Bambino ONLUS.
Autrice di numerose pubblicazioni scientifiche, letterarie e divulgative.