Nota della redazione: avevamo precedentemente già parlato del possibile impiego delle statine nella lotta al Coronavirus.
Nel testo che segue, riportiamo l’analisi ed il commento agli articoli scientifici del Prof. Francesco Cipollone e del Suo Team. Il Prof. Cipollone è ordinario di Medicina interna presso l’Università D’Annunzio e clinico in prima linea nella lotta al Covid-19 sin dalla sua comparsa.
La pandemia da COVID-19 ha certamente rivoluzionato le nostre vite e ha messo in discussione molte delle nostre certezze.
Nei primi mesi di lotta al SARS-CoV-2 molti farmaci di comune impiego, come antipertensivi (ACE inbitori e sartani in particolar modo) e statine, sono stati variamente associati a effetti benefici o detrimentali nei confronti della nuova infezione da coronavirus, senza però che ci fossero reali evidenze scientifiche a sostenere tali posizioni.
Da allora, e più precisamente da marzo 2020, la letteratura ha però offerto interessanti spunti di ricerca con molti autori di varia nazionalità che sono riusciti a produrre una notevole quantità di contributi scientifici riguardanti la relazione tra i farmaci comunemente usati dalla popolazione mondiale ed il COVID-19.
Anche la sfera dei farmaci ipocolesterolemizzanti non è stata esente da questo interesse globale.
In particolare, in questi ultimi mesi, le statine sono state protagoniste di molte pubblicazioni, spesso derivanti dalla fruttuosa attività di ricerca di medici e ricercatori operanti nelle strutture ospedaliere e nei centri di ricerca italiani.
Le statine, lo ricordiamo, sono note anche per avere un effetto pleiotropico che si estrinseca, in aggiunta alla nota azione sull’HMG-CoA reduttasi e di conseguenza sul colesterolo, con azioni antitrombotiche, antiossidanti, di stabilizzazione della placca aterosclerotica, di promozione delle funzioni dell’endotelio, e soprattutto antinfiammatoria, quest’ultima quella chiaramente che più sembra interessare la possibile interazione con le infezioni.
L’uso delle statine come agente pleiotropico
Al riguardo, le statine avevano mostrato già un effetto apparentemente benefico in una precedente pandemia virale, quella del 2009 causata dal virus H1N1. Similmente, gli studi riguardanti il rapporto tra SARS-CoV-2 e statine, seppur con qualche divergenza e con le dovute limitazioni legate alle caratteristiche intrinseche degli studi stessi, hanno mostrato un’azione sostanzialmente protettrice delle statine nei pazienti che ne facevano uso e che andavano incontro ad infezione da SARS-CoV-2.
In particolare, nei pazienti ricoverati in terapia intensiva l’uso di atorvastatina è risultato associato ad una minore progressione verso un esito infausto, sebbene la natura osservazionale e retrospettiva dello studio che ha prodotto tale dato ci impone una necessaria cautela prima di esprimere giudizi definitivi.
Secondo altri autori, le statine avrebbero inoltre dato ai pazienti che ne facevano uso un lieve vantaggio in termini di riduzione del rischio di mortalità per eventi cardiovascolari, notoriamente aumentati in corso di infezione da SARS-CoV-2. Questo concetto emerge particolarmente dai dati di uno studio atto a valutare la prevalenza e l’impatto del danno miocardico nei pazienti ospedalizzati per COVID-19.
Infine, anche delle metanalisi sembrerebbero mostrare dati a favore di un effetto positivo delle statine nel COVID-19. Tuttavia, avremo risultati più chiari e conclusivi solo al termine dei tanti trials in corso, nell’attesa che nuove terapie specifiche ed i tanto attesi vaccini possano porre una volta per tutte la parola fine a questa triste pagina dell’umanità.
Francesco Cipollone
Ilaria Rossi
Damiano D’Ardes
Istituto di Clinica Medica, Università “G. d’Annunzio” Chieti
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