Uno studio osservazionale spontaneo longitudinale, conforme alla Dichiarazione di Helsinki, condotto presso ambulatori di ipertensione arteriosa e prevenzione cardiovascolare e di cardiologia. Lo studio ha avuto una durata di 24 settimane, con valutazione intermedia a 12 settimane e valutazione finale a 24 settimane
ipercolesterolemia
La più frequente iperlipidemia genetica non è l’ipercolesterolemia familiare, bensì la iperlipidemia combinata familiare. Quest’ultima è una malattia ben conosciuta da tempo ed è stata comunque indicata anche nella “nota 13” come la forma genetica più frequente.
L’acido bempedoico ha ridotto significativamente e costantemente i livelli di colesterolo LDL rispetto al placebo, indipendentemente dallo stato glicemico basale, con sicurezza paragonabile al placebo e simile tra i gruppi di pazienti con normoglicemia, prediabete e diabete conclamato.
Gli studi epidemiologici dicono che la forma eterozigote è riscontrabile in circa uno ogni 300 soggetti nella popolazione generale, ma la sua frequenza aumenta da 10 a 20 volte tra i pazienti con malattia coronarica. Un medico di medicina generale con 1.500 assistiti dovrebbe calcolare di avere tra questi 5 pazienti con ipercolesterolemia familiare eterozigote: in realtà trattandosi di una forma familiare è frequente che in presenza di una famiglia affetta i pazienti possano essere ben più di 5
Il controllo del rischio cardiovascolare nel paziente ipercolesterolemico richiede, oltre ad un deciso intervento sullo stile di vita, anche il ricorso alla terapia farmacologica. Le statine riducono significativamente il rischio di eventi fatali e non fatali ma vi sono rischi d’interruzione della terapia per via dell’intolleranza alle stesse, che coincide largamente con la comparsa di sintomi muscolari.
L’ipercolesterolemia familiare eterozigote (HeFH) è un disordine ereditario del metabolismo lipidico, determinato generalmente da una mutazione allelica singola e caratterizzato da un incremento precoce e consistente del colesterolo circolante veicolato dalle lipoproteine a bassa densità (LDL) (1). Le manifestazioni cliniche determinate dalla mutazione e, ne consegue, dall’elevazione della LDL colesterolemia sono estremamente rilevanti, con comparsa di malattia aterosclerotica – anche fatale […]
L’ipercolesterolemia familiare è detta eterozigote quando, come nella grandissima maggioranza dei casi, la persona colpita ha ereditato un gene alterato da un genitore e un gene normale dall’altro genitore. Esistono nuove armi per contrastarla in età pediatrica, vediamo quali.
La presenza combinata di ipertensione e ipercolesterolemia è stata ampiamente associata ad un incremento significativo dell’incidenza di complicanze cardiovascolari. Nonostante evidenze indichino come un regime politerapico con farmaci antipertensivi e ipolipemizzanti possa essere efficace nel ridurre l’insorgenza di eventi cardiovascolari, diversi studi hanno mostrato una quota non ottimale di pazienti trattati in modo appropriato con tali terapie.
Accanto ad un’alimentazione sana ed un regolare esercizio fisico, nel trattamento dell’ipercolesterolemia lieve in un paziente a basso rischio cardiovascolare, sono diversi i nutraceutici che hanno mostrato effetti nel contribuire alla riduzione della colesterolemia, in particolar modo del colesterolo LDL.
Il diabete aumenta di due-quattro volte il rischio di malattia coronarica e cerebrovascolare. In un paziente diabetico, la terapia ed i controlli di tutti i fattori di rischio associati dovranno essere tempestivi ed efficaci, anche in presenza di valori che da soli non avrebbero imposto un tale livello di attenzione.
Molti pazienti con ipercolesterolemia non riescono a ottenere una sufficiente riduzione dei livelli di colesterolo LDL. Ciò malgrado l’impiego di farmaci oppure di combinazioni tra farmaci ipolipemizzanti di comprovata efficacia, somministrate in accordo con le vigenti linee guida.
Evinacumab è un anticorpo monoclonale completamente umano diretto contro l’angiopoietin-like protein 3 (ANGPLT3).
Analizziamo i risultati di due recenti studi volti a ridurre il livello di LDL-C in pazienti con ipercolesterolemia refrattaria
La relazione tra malattie cardiovascolari e Covid-19 è complessa, si rischia di ignorare allarmi pericolosi che riguardano la salute del cuore.
Il bisogno di nuovi farmaci ipolipemizzanti nasce dalla necessità di trattare efficacemente pazienti con livelli elevati di colesterolo che non possono essere controllati dall’impiego delle terapie attualmente in uso (statine, ezetimibe, fibrati, inibitori di PCSK9).
Ad oggi gli unici farmaci approvati che inibiscono PCSK9 sono gli anticorpi monoclonali evolocumab ed alirocumab. Tuttavia, è in via di sviluppo un terzo farmaco anti PCSK9 che potrebbe aggiungersi a questa classe terapeutica
Familiare omozigote.
Per il trattamento di pazienti con alti livelli di colesterolemia, ad oggi sono disponibili numerose opzioni farmacologiche. Tuttavia, nei casi come l’ipercolesterolemia familiare, questi possono risultare meno efficaci
È oggettivo l’incremento della spesa sanitaria legato al mancato controllo dell’ipercolesterolemia, sia in prevenzione primaria che secondaria.
Proponiamo 14 domande atte ad identificare il “sentire comune” dei clinici intervistati sul problema.
Nell’era successiva a quella delle statine, i più potenti farmaci ipolipemizzanti usciti sul mercato sono rappresentati dagli anticorpi monoclonali. Questi monoclonali, infatti, sono in grado di ridurre il colesterolo LDL dal 45% al 64% quando aggiunti a statina+ezetimibe, risultando per altro efficaci anche quando usati in monoterapia.
Nella splendida cornice di Los Angeles, con qualche giorno di anticipo rispetto al solito, si è svolta dal 3 al 7 novembre l’annuale sessione scientifica dell’American Heart Association. Numerosi ricercatori provenienti da tutto il mondo si sono succeduti nella presentazione dei risultati dei loro studi che hanno riguardato tutti i rami della Cardiologia, dalla ricerca di base ai fattori di […]