Vaccino per il COVID-19 e fenomeni trombotici

In una recentissima disamina (Li X et al. doi: 10.1101/2021.03.25.21254315) è stato preso in considerazione un enorme database (126.661.070 individui, studiati in 8 diversi Paesi), relativo a soggetti vaccinati contro il COVID-19.

Gli eventi avversi sono risultati numericamente molto modesti e, peraltro, nettamente sopravanzati dalla capacità del vaccino di prevenire la malattia, almeno nella sua forma severa. Tuttavia, la tipologia di uno degli eventi avversi – la trombosi venosa a localizzazione anomala, particolarmente a livello dei seni venosi cerebrali – ha suscitato un certo allarme, soprattutto perché conseguente molto più all’uso del vaccino fondato sul vettore adenovirale che a quelli sviluppati con tecnologia innovativa.

Gli eventi avversi trombotici di questo tipo sembrano essere molto rari, dell’ordine forse di 1 per milione di vaccinati. Tuttavia, la loro entità e localizzazione e gli esiti non raramente fatali, complice anche una ingerenza non sempre pacata della carta stampata, del Dr. Google e del passaparola, hanno determinato confusione nei clinici ed ansia nella popolazione, subito corsa ad inseguire la vaccinazione fondata sulla tecnologia a mRNA (a sua volta esistente in due tipi: non-replicativo, il più comune, noto come NRM; oppure autoamplificativo, noto come SAM).

Per questo motivo, sono di particolare interesse due differenti report, citati nel sottotitolo e pubblicati nell’Aprile scorso a distanza di una settimana sulla prestigiosissima rivista New England Journal of Medicine

Nel primo di questi report sono stati descritti 11 pazienti tedeschi ed austriaci (9 donne e 2 uomini, età media 36 anni, range di età 22-49 anni), che hanno sviluppato trombosi e piastrinopenia dopo vaccinazione con ChAdOx1 nCov-19 (vale a dire il vaccino sviluppato da AstraZeneca, noto come AZD1222 o con il nome commerciale Vaxzevria).
Gli eventi trombotici si sono verificati da 5 a 16 giorni dopo la vaccinazione, sempre in forma multipla tranne 1 caso, deceduto per una singola emorragia intracranica.
Nei rimanenti, 9 casi hanno presentato trombosi venosa cerebrale, 3 casi trombosi splancnica, 3 casi trombosi o comunque embolia polmonare, e 4 trombosi in altri distretti. La mortalità è stata elevata anche in questi casi di trombosi multiple, con – purtroppo – 6 morti.  In accordo alla suggerita patogenesi, 5 pazienti hanno sviluppato una franca coagulazione intravascolare disseminata. Di particolare rilievo, i pazienti presentavano positività per gli anticorpi contro il fattore piastrino 4 (PF4) ed evidente attivazione piastrinica PF4-dipendente.

Nel secondo report, invece, sono stati presentati i dati relativi a 23 soggetti, tutti con trombosi e piastrinopenia insorgenti da 6 a 24 giorni dopo il vaccino ChAdOx1 nCoV-19. Tutti i soggetti non avevano condizioni predisponenti la trombosi, almeno già note, ed hanno manifestato sia piastrinopenia che trombosi (22/23 casi) oppure piastrinopenia con emorragia (1/23 casi). La localizzazione delle trombosi è stata, anche in questa serie di casi, soprattutto venosa a livello cerebrale (Figura). 

Di rilevante interesse clinico, oltre alla conta piastrinica era presente una fibrinogenemia non raramente ridotta, o comunque normale, ed elevati livelli di D-dimero fin dalla prima valutazione laboratoristica. Gli anticorpi contro il PF4 erano presenti in 21/23 casi, assenti in 1/23 casi e dubbi in 1/23 casi. 

In sintesi, pertanto, la vaccinazione preventiva per il COVID-19, se effettuata con vaccino fondato su vettore adenovirale, può indurre – con frequenza estremamente rara, presuntivamente vicino ad 1 caso per milione di vaccinati – una reazione autoanticorpale diretta contro il complesso PF4-eparina. A tale reazione immune conseguirebbe, causa le proprietà attivanti esercitate dal complesso autoanticorpi-antigene, una marcata aggregazione intravascolare delle piastrine, con consumo delle stesse ed insorgenza di fenomeni sia trombotici che, più raramente, emorragici. A tali patologie, che ricordano la sindrome indotta dall’eparina (HIT: heparin-induced thrombocytopenia) è stato dato il nome di vaccine-induced prothrombotic immune thrombocytopenia (VIPIT) oppure di vaccine-induced thrombosis with thrombocytopenia (VITT). Per quanto ancora non definibile, è possibile che l’elemento scatenante la sindrome siano le componenti polianioniche del vaccino con vettore adenovirale. Una volta innescata dal fenomeno autoimmune, la sindrome sembra automantenersi grazie al legame tra immunocomplessi ed il recettore piastrinico Fcγ-IIA (FcyRIIA). Ciò stante, è stata suggerita la possibilità di diagnosi precoce mediante valutazione della conta piastrinica, del D-Dimero e, ovviamente, degli anticorpi verso PF4. In caso di diagnosi positiva, è stata proposta la somministrazione di immunoglobuline ad alte dosi, che accecherebbero l’obiettivo del complesso immune, ed eventualmente di anticoagulanti, ovviamente diversi dall’eparina. 

In ragione del suo effetto indiretto su FcyRIIA e, quindi, sull’aggregabilità delle piastrine, è stata anche proposta la somministrazione off-label di ibrunitib, un inibitore tirosinchinasico approvato per la terapia del linfoma mantellare recidivante o refrattario, della leucemia linfocitica cronica sia precedentemente non trattata che già trattata e della macroglobulinemia di Waldenström già trattata o non trattabile con altra chemio-immunoterapia. In accordo con la fisiopatologia della VIPIT, è stata anche suggerita la contemporanea somministrazione di steroidi, risultata efficace nell’indurre la remissione di malattia insieme ad immunoglobuline ed anticoagulanti diversi dall’eparina (J Thromb Haemost. 2021 Apr 20). Steroidi sono stati somministrati insieme ad alte dosi di immunoglobuline (IgG) anche in 5 pazienti con VIPIT (Figura) (Schultz NH et al April 9, 2021DOI: 10.1056/NEJMoa2104882). Tutti e 5 i pazienti manifestavano franca positività per gli autoanticorpi diretti contro il PF4, complessato con polivinil sulfonato (analogo dell’eparina). La metodica di dosaggio di questi complessi non è riservata ai laboratori di alta specializzazione, essendo fondata sul LIFECODES PF4 IgG enzyme-linked immunosorbent assay (ELISA) prodotto e commercializzato dalla Immucor. 

Di particolare interesse clinico ed a supporto della necessità di una diagnosi precoce e di una terapia immediata, 3/5 casi hanno avuto esito sfavorevole (la terapia è stata iniziata in corso di malattia conclamata, con evidenza di manifestazioni trombotiche atipiche, ma purtroppo caratteristiche della VIPIT, cioè con localizzazione cerebrale) ed almeno 1/5 casi era in trattamento con pillola anticoncezionale, mentre 1/5 casi (una donna di 54 anni) era in trattamento ormonale sostitutivo. Contrariamente alla suggerita estrema rarità della VIPIT, i 5 casi derivavano da un numero di vaccinazioni superiore alle 130.000 (non 1 caso per milione, quindi, ma circa 1 caso per 25000 vaccinati) e sembrerebbero quindi indicare, cin accordo con ulteriori segnalazioni, che l’uso della pillola anticoncezionale (notoriamente “procoagulante”) possa favorire la comparsa di VIPIT. 

In conclusione, la vaccinazione contro il COVID-19 è una sorta di obbligo morale per il medico, per chiunque eserciti una professione sanitaria e per la cittadinanza tutta. La disperante ed imperante correttezza politica, tuttavia, non può consentire che alla perfidia del Dr. Google ed all’ignoranza negazionista, entrambe fondate sulla non conoscenza della settima proposizione di Wittgenstein (Wovon man nicht sprechen kann, darüber muß man schweigen: laddove di una cosa non si possa parlare, si deve stare in silenzio), si risponda con ipocrisia. Pertanto, i vaccini contro il COVID-19 sono sostanzialmente sicuri e, a quanto sembra rilevare dai dati sin qui disponibili, anche efficaci. I vaccini con vettore adenovirale sembrano innescare, ben raramente, ma forse meno raramente se è in corso terapia contraccettiva orale, una sindrome simile a quella indotta dall’eparina, con temibili complicanze trombotiche – di cui è tipica la localizzazione in sede cerebrale – e, assai meno comunemente, emorragiche. Una volta comparsi i sintomi, soprattutto se neurologici (da non dimenticare, tra questi, la cefalea, i disturbi del visus, le convulsioni o i sintomi neurologici focali), la terapia non è sempre efficace e l’esito di malattia è non raramente negativo quoad vitam. Pertanto, è necessario studiare ed arrivare ad un consenso: 

  • sull’algoritmo diagnostico precoce, fondato sull’evidenza che piastrinopenia, elevazione del D-Dimero, comparsa di anticorpi verso PF4 ed eventuale riduzione della fibrinogenemia sono pressoché costanti già in fase iniziale;
  • sulla popolazione a maggior rischio di manifestare VIPIT (per indirizzarla verso vaccini “non tradizionali”);
  • sullo schema terapeutico più efficace (che, abbiamo visto dai casi sin qui descritti: deve essere precoce, risultando la terapia spesso inefficace quando i fenomeni trombotici si siano già verificati, soprattutto se a livello venoso cerebrale).

Questo, ovviamente, senza dimenticare che VIPIT è una complicanza rara e, comunque, legata al vaccino con vettore adenovirale, molto più raramente a vaccini fondati su NMR o SAM, cioè sulla tecnica a mRNA. Vacciniamoci quindi con fiducia, ma senza nascondere che il vaccino, come tutto o quasi tutto ciò che usiamo per combattere le malattie, può avere degli effetti collaterali, anche seri. Gli effetti diretti di COVID-19, d’altra parte, sono assai più comuni e temibili dei rarissimi eventi avversi causati dai vaccini. Una piuma ed un masso hanno entrambi un peso, ma mentre l’uno è trascurabile, l’altro può schiacciarci.

Prof. Claudio Ferri
Dr.ssa Rita Del Pinto
Università di L’Aquila, UOC Medicina Interna San Salvatore – L’Aquila

Fonti: N Engl J Med. 2021 Apr 9. doi: 10.1056/NEJMoa2104840; N Engl J Med. 2021 Apr 16. doi: 10.1056/NEJMoa2105385.